XXVIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno C
Dal Vangelo secondo Luca (17,11-19)
Lungo il cammino verso
Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea. Entrando in un
villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero
ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse
loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono
purificati. Uno
di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò
davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove
sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio,
all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti
ha salvato!».
Questo vangelo, strettamente legato alla Prima lettura (2Re 5,14-17), in cui si dice che Naamàn il Siro – dunque straniero – viene guarito dalla lebbra, ci presenta l’”altro”, cioè “il diverso”, e per di più lebbroso, come modello di fede e di riconoscenza.
Sì, è vero, immediatamente la prima riflessione volge lo sguardo sul fatto della riconoscenza, oggi merce molto rara e quasi assente nel nostro contesto sociale, ma approfondendo il pensiero, pensando alla persona – straniero e lebbroso – che è riconoscente, l’attenzione si volge di più su queste qualità del lebbroso guarito.
Il fatto ci dà l’opportunità di rilevare un atteggiamento nuovo, uno stile specifico dell’approccio di Gesù con gli altri. Non è “l’appartenenza” ad un popolo, ad una razza, ad una religione (in questo contesto: al popolo di Israele) che dà salvezza, ma la disponibilità di una persona, di un cuore riconoscente, che vede in Gesù la Salvezza, ciò che dà significato e valore ai comportamenti; di più: al Salvatore.
Non è secondario sottolineare che questo straniero è samaritano, uno di quelli – come si dice nel colloquio di Gesù con la samaritana – con i quali (Gv 4,5) i Giudei “non coutuntur”, non mantengono buone relazioni.
Gesù, e questa non è la prima volta che lo fa, sembra un provocatore: va a rompere gli schemi tradizionali: i “nostri”, cioè, i giudei, quelli del popolo eletto, non sono migliori degli altri, se il loro cuore e, conseguentemente, il loro agire, non è sincero, leale, conforme a ciò che vuole il Signore. Questa “provocazione” di Gesù è diffusa in più parti nei vangeli, proprio perché questo è il suo modus agendi: per esempio la chiamata dei peccatori come Levi, l’invito a pranzo da Zaccheo, il perdono della peccatrice, dell’adultera, il pubblicano giustificato e il fariseo che va a casa con un peccato in più.
Consideriamo in ordine ciò che ci dà il vangelo come meditazione.
- Chi è il lebbroso?
È colui che ha malattie serie della pelle, la quale diventa squamosa o perde gli arti che sono nelle periferie del corpo. I lebbrosi in quanto tali, sono considerati quelli del peccato e la loro condizione come punizione inflitta da Dio. Per questo vengono cacciati dalla comunità civile e di culto; per farsi riconoscere, come sappiamo, avevano un campanello ai piedi per segnalare la loro presenza, dalla quale le persone si dovevano allontanare. Vivevano nella solitudine più buia e la loro unica compagnia erano gli altri lebbrosi.
- La riconoscenza
È un sentimento di gratitudine per il bene ricevuto.
Conoscete quel proverbio: “passata la festa, gabbato lo santo”? Appunto: una volta ricevuto un favore non ci interessa più chi ce lo ha fatto. Come dal cuore dell’uomo nascono tanti mali, anche la mancanza di gratitudine nasce dal cuore dell’uomo. Gratitudine da dimostrare immensamente a Dio (la vita, la salute, l’intelligenza, nel dono della fede… “se tu conoscessi il dono di Dio”!); e poi riconoscenza per i genitori, per quanti ci aiutano a crescere nel corpo, nello spirito, nell’intelligenza. Possiamo semplificare: un elemento che sembra tanto umile, ma che può rivelare se siamo riconoscenti nel cuore è il cibo. Chi disprezza il cibo, disprezza Dio e tutta la sua provvidenza.
Il lebbroso è “un lontano”, come il ladrone, come l’adultera, come i peccatori, con il marchio sulla pelle. In questo contesto del mese missionario è un lontano dalla fede, dalla conoscenza della salvezza. Gesù è “amico dei peccatori”, di tutti.
Ha una “tattica”, un suo modo per rendere i lontani più vicini? Sì l’amore e il metodo dell’amore. Si metteva nei panni degli altri. Non usava il metodo del criticare e condannare. Probabilmente questo lo faceva con gli ipocriti, con le persone “dabbene” o che si ritenevano tali, con i “benpensanti”.
La terra di missione dei “lontani” inizia già dentro le nostre chiese dove ci sono scristianizzati o ignoranti (in teoria e in pratica) di “ritorno”. Diceva già anni fa don Primo Mazzolari: “Sarebbe bene che parte del clero, lasciando un poco in disparte alcune attività poco produttive, si dedicasse alla missione dei lontani al di fuori del recinto”. Quante persone raggiungiamo dentro il recinto? Il 10% dei fedeli? E gli altri dove sono? “Gli altri” sono la stragrande maggioranza.
- Qual è la differenza essenziale tra gli altri lebbrosi guariti e quest’ultimo che ritorna? Tutti furono sanati (in greco ekataristesan), ma del Samaritano Gesù dice: “Alzati e va’: la tua fede ti ha salvato (in greco sesoken)”. Tutti ricevono la grazia della guarigione dalla malattia, ma il lebbroso riconoscente ha una grazia speciale: la fede, è salvato. La salvezza nasce sì da una guarigione, ma specialmente da quando c’è un incontro personale con Lui che viene riconosciuto come guaritore del corpo e come Colui che arriva al cuore delle persone.
- Metterei in evidenza anche un altro aspetto che viene fuori dal contesto. Il ruolo dei sacerdoti, di coloro che costatavano, che prendevano atto in un certo senso, della guarigione avvenuta. Vedrei in questo proprio il ruolo della Chiesa, dei ministri nell’ambito della guarigione. Fa tutto Gesù: è Lui che guarisce. Noi, in un certo senso constatiamo, prendiamo atto, nel nome di Gesù. Non siamo noi a salvare la gente: è il Signore, per questo ancora una volta dobbiamo imparare che “siamo servi inutili”.
“Facciamo memoria” dell’insegnamento degli Esercizi: ci dobbiamo decentralizzare, mettendo Lui al nostro posto. Me è pure importante il nostro ruolo: siamo noi ad inserire nelle comunità. Senza l’assenso dei sacerdoti i lebbrosi starebbero ancora fuori dalla comunità.