XXIX DOMENICA del T.O. [C]
Meditazione sulla seconda lettura della domenica a cura di Don Franco Proietto, padre spirituale
Dalla seconda lettera di San Paolo apostolo a Timoteo (2Tm 3,14-4,2)
Tu però rimani saldo in quello che hai imparato e che credi fermamente. Conosci coloro da cui lo hai appreso e conosci le sacre Scritture fin dall’infanzia: queste possono istruirti per la salvezza, che si ottiene mediante la fede in Cristo Gesù. Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona. Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù, che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento.
Premessa
Immediatamente ci si può accorgere che il filo conduttore delle letture di oggi (1a e 3a) è dato dalla necessità di pregare sempre, in modo costante, «sine intermissione». Il pellegrino russo la sintetizza in queste poche parole: «Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me». Si è scelta, invece, questa lettura perché si pensa sia più conforme alla necessità di vivere la Parola di Dio.
Timoteo viene chiamato da Paolo «vero figlio nella fede» (1Tm 1,2). Difatti è il suo aiutante per eccellenza (At 19,22) a Listra. Suo padre era greco, la madre, Eunice, era un’ebrea diventata cristiana (At 16,1); la nonna Loide e la madre lo istruirono nelle Scritture (2T, 3,15); più tardi sarà Paolo ad approfondirle. Egli lo chiama «nostro fratello e collaboratore di Dio nel Vangelo di Cristo» (1Ts 3,2). Andò a Corinto, a Tessalonica, a Filippi, a Colossi, in Macedonia, a Roma «per confermare ed esortare i cristiani nella fede (1Ts 3,2-6).
La condizione di Paolo e il rapporto con Timoteo
In questa nostra lettera si evidenza il desiderio di Paolo che vorrebbe vederlo ancora per un’ultima volta, prima che lui, vecchio e malato, muoia (2Tm 4,9-21). Paolo è consapevole di essere ormai in declino e dà l’immagine della “libagione” sacrificale, nello stesso modo in cui si versavano le libagioni sacrificali, nel sacrificio del suo martirio. Dice anche che sta in partenza come se fosse una nave che deve salpare per l’altro mare dopo aver sciolto gli ormeggi, o come dei «soldati che piegano le tende e levano il campo».
Paolo ha parlato di alcuni che praticano l’empietà (non pietas: senza devozione, senza religione) e dà atto a Timoteo che lui invece ha già seguito l’Apostolo «nell’insegnamento, nella condotta, nei propositi, nella fede, nella magnanimità, nell’amore del prossimo, nella pazienza, nelle persecuzioni, nelle sofferenze…»
Chi di noi non vorrebbe questi elogi, che arrivano dopo un servizio fedele e continuo di Timoteo verso lo stesso Paolo?
Ma un ulteriore elemento di riflessione è che Timoteo, fin dalla giovinezza è stato educato dalla mamma e dalla nonna, come più tardi da Paolo stesso, all’apprendimento della Parola di Dio e alla sua sequela. La fede nasce in famiglia e poi viene perfezionata da maestri che completano ciò che hanno seminato i genitori. Paolo è colui che ha svolto questo ruolo: ha sigillato definitivamente la fede nel suo cuore.
Ecco perché, di fronte ai malvagi e agli impostori, si contrappone la figura di Timoteo. Lui è colui che continua a rimanere saldo (menein) nella fede, è disposto ad apprendere (manthanein) ancora, a credere fermamente (pistousthai).
È così che la fermezza di Timoteo si contrappone al comportamento dei falsi dottori ed impostori che vagano qua e là o sono deviati.
Ciò che è stato ricevuto da Timoteo diviene a sua volta ricchezza di chi accoglie: il deposito della fede passa di mano in mano per raggiungere il cuore dei credenti: è questa la paradosis (tradizione, trasmissione, consegna).
Queste Scritture – che lui ha ricevuto fin dalla prima infanzia – ci istruiscono per la salvezza che si ottiene proprio per mezzo della fede in Cristo Gesù.
In questo periodo dunque i cristiani ritenevano la Parola di Dio indispensabile per credere, proprio perché essa non è solo una conoscenza teorica, ma lampada ai passi, stile di vita, atteggiamento esistenziale.
È sorprendente allora come già nei primi decenni che seguirono la morte e risurrezione di Gesù, i primi cristiani si nutrivano di questo cibo per affrontare le avversità della vita.
Non c’è da riflettere ora che le nostre famiglie non conoscono gli insegnamenti evangelici, la vita e le parole di Gesù, i valori fondamentali di un credente? La Parola di Dio, che di per sé è rivoluzionaria, esplosiva e contagiosa, è diventata amorfa e inerte per colpa dei cristiani “assenti”.
San Francesco ha avuto tanta sequela durante, dopo e anche oggi, perché viveva il Vangelo sine glossa, ossia senza interpretazioni, aggiustamenti, aggiunte.
La Sacra Scrittura e il pastore che l’annuncia
Tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia perfetto (artios: ben adattato, corrispondente, completo). Così soltanto la Scrittura non è solo indispensabile per ottenere la vita futura, ma lo è già qui per orientare i passi di una comunità cristiana, facendo dei responsabili – noi – un compito primario tra le loro umane attività.
Sì, perché lo stesso impegno apostolico è visto soprattutto come compito alla luce della Scrittura. Ci sono quattro sostantivi che delineano la missione della Scrittura:
- La didaskalia, cioè l’insegnamento. Come si fa a portare Gesù, se non si insegna ciò che ha detto e fatto Lui nel Vangelo? Ogni adesione alla fede viene preceduta dalla conoscenza della Sua persona: è la logica umana che insegna questo, anche prima di qualsiasi esplicitazione tomistica che dice: “prima si deve conoscere, poi si può amare e scegliere.”
- Seguono altri due termini; elegmos (“persuasione”) e epanorthosis (“correzione”). La Scrittura deve persuadere le persone facendo notare che le scelte sono corrette, conformi alla volontà di Dio e al bene personale. E se qualcuno devia dal retto sentiero, deve essere corretto: è un dovere morale, altrimenti si diventa complici del male.
- «Formare alla giustizia»: cioè la Scrittura, per sua natura, deve tradursi in comportamenti sani, cioè in una vita vissuta secondo la volontà di Dio. La Scrittura dà all’uomo un bagaglio di valori che lo rendono coerente e atto a portare a termine i suoi impegni. Ma per fare questo il credente deve essere pronto e ben preparato, non ignorante o disinteressato.
L’esortazione diventa ancora più pressante, esigente, quasi accorata: «Ti scongiuro davanti a Dio e a Gesù… annuncia la parola». Non è una possibilità! È un imperativo! Ogni cristiano deve essere un annunciatore della Parola di Dio: se non lo fa, spreca la grazia che gli è stata donata e rimpoverisce, oltre che gli altri, anche sé stesso.
«Insisti a tempo opportuno e non opportuno». S. Agostino, nel Discorso ai pastori interpreta così questo passo: «Per chi a tempo opportuno e per chi a tempo non opportuno? Certamente “a tempo opportuno” per chi vuole; “a tempo inopportuno” per chi non vuole. Sono proprio inopportuno e oso dirtelo, tu vuoi smarrirti, tu vuoi perderti, io invece non lo voglio. Alla fin fine non lo vuole Colui che mi incute timore. Qualora io lo volessi, ecco cosa mi direbbe, ecco quale rimprovero mi rivolgerebbe: “Non avete riportato le disperse, non siete andati in cerca delle smarrite…”. Riporterò quindi la pecora dispersa, andrò in cerca di quella smarrita, che tu voglia o no: io lo farò. Anche se nella mia ricerca sarò lacerato dai rovi della selva, mi caccerò nei luoghi più stretti, cercherò per tutte le siepi, percorrerò ogni luogo, finché mi sosterranno quelle forze che il timore di Dio mi infonde. Se non vuoi il fastidio di dovermi sopportare, non perderti, non smarrirti…».
Infine la pressante esortazione raccomanda a Timoteo, in tono deciso (Paolo è sua guida, padre, maestro):
- Ammonisci;
- Rimprovera;
- Esorta con ogni magnanimità e insegnamento.
Mettiamoci nel contesto in cui Paolo sta dando le sue ultime raccomandazioni ad un figlio che dovrà continuare la sua opera, a cui lascia la fiaccola accesa. C’è in essa quasi una sintesi di tutta la lettera. In qualche modo si rivive la stessa atmosfera che si è vissuta nella spiaggia di Mileto, quando si dà l’ultimo addio agli anziani. Il discorso è asciutto, quasi severo: Paolo deve lasciare una preziosa eredità a Timoteo: la ricchezza della Parola di Dio. Per attenuare una certa durezza di raccomandazioni («ammonisci e rimprovera») viene esortato ad essere magnanimo e solido nella dottrina.
Come appendice chiarificante vorrei terminare con un pensiero che ci prende tutti nella sua attualità. I messaggi che riceviamo oggi sono numerosi e non sempre edificanti. Se non c’è un confronto e a volte uno scontro con la Parola di Dio, noi saremmo perdenti.
In più la quantità dei messaggi possono essere “vinti” dalle qualità della Parola di Dio, con tutti i valori straordinari, soprannaturali ed efficaci che essa porta.
Ma se questa viene disattesa, e forse accantonata, come potrà essere scelta? Se tutti noi lo abbiamo fatto, vuol dire che, nel confronto, abbiamo capito quanto valga questa Parola, cosa ci insegni nella nostra vita e quale significato dia ad essa.