VIII Domenica del tempo ordinario|C|
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 6,39-4539Disse loro anche una parabola: “Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? 40Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro. 41Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? 42Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.
43Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. 44Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. 45L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda. 46Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate quello che dico? 47Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: 48è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene. 49Chi invece ascolta e non mette in pratica, è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra, senza fondamenta. Il fiume la investì e subito crollò; e la distruzione di quella casa fu grande”.
Domenica scorsa abbiamo contemplato gli alti ideali cristiani; “amate i vostri nemici.” Oggi il Vangelo ci mette davanti al cuore dei grandi valori umani, conseguenti a quei principi che hanno grande rilievo pratico.
Ci sono più riferimenti esaustivi e tutti convergono in un forte valore morale: la lotta contro l’ipocrisia. Vediamoli insieme: “Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in una buca?” il primo proverbio viene definito “parabolé,” che non significa solo parabola, ma – nella traduzione dell’ebraico “mashal” – anche il proverbio, sentenza, detto. Nel Vangelo di Matteo, tale sentenza è inserita nella disputa tra il puro e l’impuro; qui Luca inserisce il proverbio nel discorso dell’invito all’amore fraterno nella comunità cristiana e viene richiesto precisamente a coloro che non esercitano la misericordia e conseguentemente non si astengono dal giudicare gli altri. Essi sono i ciechi che rischiano di far cadere con se anche gli altri, pur essi ciechi.
Ognuno che vuole essere come guida e come esempio per un altro deve avere per se i requisiti per farlo. Se, chi deve dirigere, lui stesso è privo di queste virtù, se ne è privo, come fa ad essere una guida? Un cieco non può aiutare un altro cieco come lui a vedere. Se lo facesse, sarebbe causa di rovina per se e per gli altri. Nel mondo classico, sia Esopo che più tardi Fedro, raccontano una “favola” riguardo alla coscienza di se e dei propri difetti / peccati. Dice Fedro: “peras inposuit Iuppiter nobis duas… Giove ci impose due bisacce ne diede una piena dei nostri vizi posta dietro le spalle e un’altra sovraccarica dei difetti degli altri sospesa pesante davanti al nostro petto. Per questo noi non possiamo vedere le nostre mancanze; (invece) gli altri, tutti insieme commettono colpe; noi siamo i censori.” E Catone aggiunge: “quando accusi un altro, guarda prima la tua vita.” “Se lui riflettesse – direbbe il Siracide – gli apparirebbero i suoi difetti e parlerebbe anche di meno. Perché – prosegue questo saggio libro – non si deve lodare un uomo prima che abbia parlato.”
Il secondo detto tratta di una norma che, se considerata nel confronto tra persona e persona può anche non essere valido, ma se il Maestro, come qui, rappresenta Gesù, essa ha una sua grande validità. Gesù è il nostro modello non raggiungibile ma imitabile secondo le proprie capacità umane.
Bellissima è poi l’immagine della pagliuzza e della trave. Attraverso due domande si sottolinea la diversità di comportamento e di giudizio di colui che osserva il difetto piccolo del fratello, come una pagliuzza nel proprio occhio, e invece trascura il proprio difetto, la propria colpa, che è enorme quanto una trave. È nella pratica l’attuazione del principio: “non giudicate e non condannate…” ora se io voglio doverosamente, in forza della correzione fraterna, correggere un fratello, devo avere l’occhio limpido per farlo, cioè devo avere le carte in regola, devo stare a posto con me stesso, devo avere l’autorevolezza morale… La trave (cattiveria, corruzione, egoismo) non mi darebbe nemmeno l’opportunità di vedere quel poco di male che c’è nell’altro (avrei io stesso gli occhi offuscati). Noi dobbiamo correggere l’altro ma dobbiamo essere credibili per farlo. E tale credibilità viene da un nostro comportamento corretto da una sincerità del cuore, da una fondamentale buona fede comportamentale.
Se in noi ci fosse discrepanza tra ciò che diciamo con la bocca e ciò che facciamo nella pratica saremmo bollati con la stessa forte parola che Gesù dice nel Vangelo “ipocriti.” In questo contesto in cui viene usata questa parola (in greco “ipocrita”) ha nell’uso biblico un significato più ampio di quanto lo abbia nell’italiano o nel greco classico. L’ipocrita è colui che volontariamente dissimula una verità (ricordiamo che dissimulare vuol dire nascondere una cosa che c’è, per es. un sentimento, un pensiero …; mentre simulare vuol dire fingere che ci sia una cosa che in realtà non c’è). Più spesso nel vangelo viene usato proprio per condannare la difformità tra ciò che pensiamo e ciò che facciamo (per es. Mt 6, 1-6 “guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati…”); qui vuole indicare la falsità sic et simpliciter. (Ricordiamo che il termine si rifà a “recitare una parte nel teatro”, quindi essere un “attore” dal greco “hypokrinesthai”). Credo che non ci sia un termine peggiore per una persona che è una “doppia faccia” un falso. In parole povere prima di accusare gli altri guarda dentro di te per correggerli. A questo punto vorrei dire con chiarezza che la gente in genere pensa che questo vizio sia connaturale ai sacerdoti (e ai seminaristi, se non vi dispiace). Ognuno vuole apparire meglio di quello che è per ottenere, oggi, giudizi positivi e, domani, titoli per “fare carriera”. Se Gesù ha insistito su un aspetto della vita interiore, questo è proprio la sincerità, lealtà, trasparenza. Solo se agiamo cosi, possiamo essere credibili e le relazioni umane – di cui tanto si parla – possono essere veritiere. Le varie maschere che ci mettiamo molto spesso ci coprono fino ad un certo punto, ma poi, quando la lealtà ci si presenta nella sua nudità, non abbiamo panni per coprirci. Per noi il giudizio di Dio è più pesante. Gesù stesso aveva parlato di falsi profeti che vengono sotto spoglie di pecora, mentre nel loro animo sono lupi rapaci (cfr. Mt 7,15).
Si passa poi all’ultima immagine: l’albero buono e l’albero cattivo, cosi come da un albero cattivo nascono frutti fradici, cosi da un cuore corrotto nascono azioni malvagie. Non è il fogliame, cioè non sono le apparenze, a rendere fruttifero un albero, ma è la bontà dell’albero a produrre frutti veri e propri. E questi sono buoni se l’albero è buono, sono invece cattivi se l’albero è cattivo. Un cuore gretto, egoista, autocentrato, ripiegato su di se, non può essere generoso e altruista. Quanti giudizi malevoli e quante accuse malvagie, quanta cattiveria si riversa contro alcune persone quasi come proiezione del proprio stato affettivo frutto di un cuore egoista e malvagio! La sentenza finale poi da come conclusione e spiegazione la continuità tra l’identità dell’uomo e la sua azione: “la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda”.
N.B. mi permetto di far osservare che bontà e malizia del cuore dell’uomo non sono radicati come elementi che riguardano l’indole, la natura della persona (quello è nato buono, quell’altro è nato cattivo). Questo porterebbe ad un certo inevitabile determinismo: “se io sono fatto cosi, che ci posso fare?” ma è l’atteggiamento di chi, dopo aver ricevuto la proposta di Gesù, la fa sua o non l’accoglie, anzi la rifiuta. Solo quando il cuore è pieno di Cristo, anche le sue parole parlano di Lui. Se però nel cuore c’è il Maligno, i frutti, le parole, e conseguentemente i comportamenti sono in linea con la presenza del maligno è dal cuore dell’uomo che esce ogni azione cattiva ed è dal cuore dell’uono che nasce ogni azione buona (Mt15).
Riflessione di don Franco Proietto