V Domenica di Quaresima – Anno C
Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede: perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti. Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù.
Da quando Paolo ha incontrato Gesù, nella sua vita c’è stato un cambiamento totale, un capovolgimento di valori. La divisione è radicale: da una parte c’è il guadagno, dall’altra c’è la perdita. Il guadagno è Cristo, la perdita è tutto il resto. Prima era così: il guadagno di una volta è in realtà, ora, un danno.
Prima non aveva ancora conosciuto Cristo, ora lo ha conosciuto, è anzi riempito della sua vita. Perché, in effetti, la conoscenza non è intellettuale – sarebbe troppo riduttiva – ma vitale, esistenziale, perché abbraccia tutto l’essere dell’apostolo. Paolo ritiene che il resto sia immondizia, anzi, “scubala”, sterco (in latino “stercora”) di fronte alla conoscenza di Cristo.
Il che vuol dire che Paolo sa quello che vale Colui che ha abbracciato e non ritiene niente importante, significativo, di quanto ha lasciato.
Tutte le cose (“panta”) sono addirittura di ostacolo alla conoscenza di Cristo. La “gnosis Cristoù” è al centro dell’attenzione, dell’anelito, di tutta la sua vita. Cristo viene chiamato “mio Signore”, come farà più tardi S. Francesco, sedotto e abbracciato da Gesù.
È interessante notare che tutto ciò che Paolo vive non riguarda soltanto il suo primo incontro con Gesù, quando si è accorto che davvero Lui era il su vero amore ma tutt’ora è valida questa sua esperienza e ne vive la profondità e la realtà. Di fatti Cristo è un valore immutabile, significativo per la sua vita di ieri e altrettanto significativo per la sua vita di oggi. Quando si è trovato “in Cristo” nel momento della sua conversione ha operato una spinta che è valida anche ora, che sta in tensione verso il traguardo. Nel momento presente Paolo vuole “conoscere” (nel senso detto prima) Lui “la potenza della sua resurrezione, la comunione alle sue sofferenze”, facendosi “conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla resurrezione dei morti”. Solo per la fede in Gesù e gli sarà giustificato con la grazia. C’è in fine la consapevolezza di non aver raggiunto la meta, di non essere arrivato alla perfezione, ma anche questo continuo “sforzo di correre per conquistarla”: come per Gesù i vari patimenti lo hanno condotto alla resurrezione, così è per Paolo.
Anche lui passerà attraverso sofferenza e tribolazioni, ma è cosciente che è il prezzo da pagare per raggiungere Cristo. È sicurissimo che, liberatosi di un’appartenenza che ora non gli interessa più, che ha lasciato dietro le sue spalle, ora è proteso verso la meta che è Cristo Gesù. Portiamo l’attenzione a noi: anche noi abbiamo un mondo passato con dei (dis)valori che ci condizionavano i comportamenti. Poi almeno così ci è sembrato e ci sembra, abbiamo conosciuto Gesù; e l’abbiamo ritenuto importante e significativo per la nostra vita. Stiamo “conoscendolo” meglio. Dovremmo per questo orientare tutte le nostre attenzioni verso di Lui, sapendo che il resto è perdita nei suoi confronti.
Dovremmo chiederci: ma davvero la nostra vita è tutta “fasciata”, avvolta, da questa Persona? Le gioie e i dolori della nostra vita camminano “in parallelo” con Lui, con un significato dato loro dal nostro stato d’animo, del momento o confluiscono in Lui che dà loro significato “cristiano”, le assorbe a sé, le rende vitali, le fa vita della nostra vita? Se non facciamo così, Cristo sarebbe ancora lontano e la sua “conoscenza” non sarebbe esistenziale, ma forse appena umana, o addirittura – non è un paradosso – cristiana senza Cristo.
Il Vangelo
Poniamo davanti al nostro cuore due frasi:
- Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei.
- “Donna … nessuno ti ha condannata? Nessuno”. Neanch’io ti condanno: d’ora in poi non peccare più”.
Da sempre ho ritenuto questo episodio come lo spartiacque tra il mondo del peccato e quello della misericordia, tra la miseria umana e l’infinita bontà di Dio.
Gesù in effetti non è giusto; è però misericordioso. Non afferma la gravità della colpa, ma accentua la forza del perdono. È un nuovo modo di pensare e di agire che disorienta tutti i suoi seguaci. Mette a nudo anche l’ipocrisia di chi vuole condannare gli altri, ma non ha le carte in regola per essere davvero giusto, come invece vorrebbe apparire. Gli stessi che accusano, sono implicitamente accusati quando, di fronte alle domande incalzanti di Gesù, si ritirano impietosamente senza proferire una parola di giustificazione.
Gesù rimette la donna nella possibilità di una nuova vita; è perdonata, ma non deve peccare più. Non può sprecare la grazia di Dio che le dona una nuova chance. Tutto questo per insegnamento a noi stessi:
- non giudicare chi pecca
- non accusare credendosi migliori degli altri, quando in verità siamo peggiori
- imparare a conoscere e usare la misericordia come ha fatto Gesù