UNA CHIESA SINODALE IN MISSIONE
Alcune considerazioni sulla relazione di sintesi a cura di don Pasquale Bua
Mercoledì 15 novembre 2023 don Pasquale Bua ha condiviso con la nostra comunità del Pontificio Collegio Leoniano alcuni primi punti circa l’esperienza del Sinodo che la Chiesa sta vivendo. C’è da dire che ancora non è tempo di una sintesi compiuta dal momento che manca la tranquillità per addivenire a ciò. Alcune domande possono guidare queste prime considerazioni.
Quando è iniziato e quando finirà?
Eravamo abituati, fino a un decennio fa, a considerare il Sinodo con apertura a inizio ottobre e con termine nel medesimo mese. Questo Sinodo, invece non è un evento, ma una tappa, inserita in un processo più ampio, iniziato qualche anno fa e che va ancora avanti. Non è solo ampliamento temporale di un accadimento di alcuni, ma un ascoltare più voci.
Chi è il Sinodo?
Siamo tutti il Sinodo. È una convinzione che papa Francesco ha espresso con insistenza. È un Sinodo della Chiesa e per la Chiesa. A partire dal documento preparatorio di settembre 2021: «La chiesa di Dio è convocata in Sinodo». Il Sinodo, più di altri in passato, nostra res agitur: riguarda noi, ha a che fare con noi.
È il Sinodo di chi?
Dei Vescovi o della Chiesa? Don Pasquale non sa rispondere a questa domanda. Basterebbe leggere l’ultimo documento licenziato, cui l’ultimo dei 20 punti titola: Sinodo dei Vescovi e Assemblea ecclesiale. Che identità ha un organismo che è strettamente episcopale ma che coinvolge tutti i battezzati? La domanda è aperta. La risposta la si deve cercare e trovare nel tempo avvenire. Il Papa stesso ha dimostrato di evolvere la sua idea di partenza. Inizialmente diceva qualcosa d’altro, ora qualcosa di diverso. Il suo stesso pensiero è in evoluzione, a contatto con la realtà. Al Papa piace aprire processi che porteranno a lidi, novità che non possiamo prevedere.
Che significa però fare Sinodo sulla sinodalità?
Non è un tema che possiamo definire o avere un referente concreto come la famiglia o i giovani, o una regione o una cultura, o il tema o lo scopo. La sinodalità è un modo di procedere. Sembrerebbe essere la metodologia e non il tema del Sinodo. Come può essere il metodo diventare un contenuto? Tante voci autorevoli esprimono questa domanda. Tra forma e contenuto non esiste un confine netto. La forma incide sui contenuti. Riflettere sulla sinodalità significa riflettere su come deve essere la Chiesa. È un sinodo sulla Chiesa con questa chiave di lettura: come nella Chiesa si può attuare uno stile nuovo? Come innervare le istituzioni con un nuovo stile da meglio precisare, definire?
Quali sono le vere ragioni che hanno condotto a questo tipo di Sinodo?
Come essere Chiesa? Come adottare nella Chiesa uno stile diverso?
È difficile individuare un punto preciso di inizio. Ci possono essere ragioni remote e prossime. Le ragioni remote sono le fondamentali, il fondamento. Le ragioni prossime sono la miccia, l’occasione. Una prima ragione remota: perché la Chiesa è costitutivamente sinodale. La sinodalità attiene alla forma costituiva della Chiesa. Il metodo sinodale ha sempre caratterizzato la Chiesa. Una seconda ragione remota è la necessità di lanciare la recezione del Concilio Vaticano II. Parlare di un evento di sessanta anni fa lo fa sembrare vecchio, superato. Invece, sul calendario della Chiesa, il Concilio è stato celebrato solo l’altro ieri. Le novità del Concilio devono ancora pienamente svilupparsi. La sua recezione è stata in qualche caso ostacolata, riorientata, rinnovata. Pensiamo ad es. a come la rivoluzione culturale del ‘68 ha tradito e paralizzato l’appena iniziata recezione del Concilio. Non sorprende che il primo papa che non ha vissuto il Concilio da protagonista, ma che è cresciuto nell’aria del Concilio ha scritto il suo documento programmatico Evangelii Gaudium come commento alla Lumen Gentium. Si è trattato di avviare una nuova fase di recezione del Concilio.
Queste sono alcune ragioni remote, speculative.
Le ragioni prossime, scatenanti pungenti sono almeno altre due. La prima è l’impossibilità ormai per la Chiesa di mettere a tacere, di evitare la domanda di partecipazione a tutti i livelli. Noi vediamo, specialmente in Occidente, società democratiche in cui i cittadini partecipano alla cosa pubblica. Inoltre, l’emancipazione delle donne ha sdoganato il loro ruolo sono nella vita privata delle persone. Queste istanze premono nella Chiesa. Come mai le cose che si sono realizzate nella società non trovano ripensamento nella Chiesa. Come mai il suo sistema rimane a un’epoca passata? Altra ragione prossima è lo scandalo degli abusi. Nel documento preparatorio del 2021 una sezione ampia è legata agli abusi. C’entra perché il problema degli abusi (di coscienza, potere, finanziari…) non sono il problema di questo o quello deviato, ma strutturale, sistemico della Chiesa. Riguarda tutti, tutte le comunità.
Quali sono gli obiettivi?
Non si capisce ancora bene. Ancora parla di tutto. Questa è soltanto una sintesi provvisoria, interlocutoria. Nel documento finale ci attendiamo maggiore precisazione. Gli obiettivi sono molteplici: chiesa vicina ai poveri, più capaci di inclusione, di ascolto dell’Oriente, impegnata nel dialogo ecumenico… Siamo ancora in fieri.
Per proseguire il cammino
«A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio, o con quale parabola possiamo descriverlo?» (Mc 4,30). Questa domanda del Signore illumina il lavoro che ora ci aspetta. Non si tratta di disperdersi su molti fronti, inseguendo una logica efficientistica e procedurale. Si tratta piuttosto di cogliere, tra le molte parole e proposte di questa Relazione, ciò che si presenta come un seme piccolo, ma carico di futuro, e immaginare come consegnarlo alla terra che lo farà maturare per la vita di molti. «Come avverrà questo?», si domandava Maria a Nazaret (Lc 1,34) dopo aver ascoltato la Parola. La risposta è una sola: restare all’ombra dello Spirito e lasciarsi avvolgere dalla sua potenza.
Paolo Larin