SS. Trinità| Anno B| 30 MAGGIO 2021
Un primo pensiero è presupposto e condizione per parlare di questa festa… quando si studiano le diverse scuole antropologiche, pur partendo ognuno da una propria specifica prospettiva, convergono tutte, sorprendentemente, ad una conclusione: l’uomo è un mistero.
La parola greca μυστήριον (mysterion) indica cose segrete, nascoste, una dottrina non facilmente rivelabile e comprensibile con la ragione. Ora, se questo vale per l’uomo, di cui almeno per esperienza, compartecipazione e condivisione conosciamo grossomodo la natura, quanto più vale per Dio che è totalmente-Altro e l’Oltre insondabile dal nostro pensiero: ci dice qualcosa un’altra parola greca, μύω (myo), verbo su cui si basa il sostantivo mistero, che vuol dire “chiudere le labbra, tacere, far silenzio”: perché Lui è per definizione l’ineffabile, l’indicibile, ciò di cui non si può parlare perché non abbiamo gli strumenti adeguati, troppo distante da noi come il Cielo dalla terra, e rimaniamo stupefatti.
E credo che anche coloro che fondano tutta la conoscenza sulla ragione debbano riconoscere che non tutto è così… “razionale”, conoscibile, trasparente. Non solo perché c’è anche il “cuore”, che «ha delle ragioni che la ragione non ha», ma anche perché proprio dal mistero si può tirare fuori tutta la vera arte e la vera scienza, come dice Einstein stesso. A questo concetto si aggiunge quello formidabile di S. Agostino: «se comprendi [la divinità] allora non è più Dio». È quanto dice Isaia: «davvero tu sei un Dio misterioso» (Is 5,15), perché le sue vie non sono le nostre vie e i suoi pensieri non sono i nostri pensieri. D’altronde la stessa tecnica e la scienza ci danno delle risposte alle domande del “come”, ma sono del tutto impotenti a saper rispondere agli infiniti perché. E di fatto hanno preso e rendono il cuore dell’uomo arido, povero, una macchina che divora i sentimenti, appiattisce i valori, e inaridisce l’amore che è l’unica cosa che fa nascere e rendere significante la persona.
Avvicinandoci al Dio Trinità, non è meno facile conoscerne la natura anche se questa ci è stata rivelata da Dio stesso.
Noi attribuiamo al Padre tutta la creazione, sia delle cose visibili che di quelle invisibili, al Figlio la visibilità nella nostra carne umana, nella stessa sua condizione di vita, allo Spirito l’amore, perché è Amore che alita dentro il nostro cuore, ma non è possibile esplorarne fino in fondo la lunghezza, l’altezza e la profondità del suo Essere perché la sua conoscenza non è diretta ma per analogia.
Qualcuno vi si è avvicinato quando, rinunciando alle sue pretese “umane” – razionali o scientifiche – si è spogliato della sua umanità, si è liberato delle scorie del peccato e purificandosi dal peso della sua terrestrità, si è avvicinato a Lui misticamente, perché quello mistico è l’unico linguaggio per attingere alla divinità; non lo sono invece la scienza né la tecnica, o la materia.
Ed ora avviciniamoci con senso di ascolto e accoglienza a ciò che insegna la Parola di Dio.
Dalla lettera ai Romani 8, 15-17
15E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto
lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». 16Lo Spirito
stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. 17E se siamo figli, siamo anche
eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per
partecipare anche alla sua gloria.
C’è un confronto e un’opposizione tra due termini che rivelano due profonde realtà: schiavo
/ figlio. S. Giovanni lo dice chiaramente in Gv 8,35: «lo schiavo non rimane nella casa per
sempre, il figlio invece vi rimane in eterno». Lo spirito di servitù si contrappone allo spirito
di figliolanza e il timore servile all’amore filiale. La servitù è, come si sa, quella del peccato,
come dice ancora s. Giovanni (8,34): «chiunque commette il peccato è uno schiavo».
Il timore è servile perché quando con le opere si viene costretti ad avvicinarsi a Dio, ed il
cuore di fatto se ne sta lontano, c’è un’ipocrisia di fondo che inquina ogni bontà dell’azione.
È quanto dice anche s. Giovanni: «nell’amore non c’è timore, al contrario l’amore perfetto
scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo, e chi teme non è perfetto nell’amore».
Lo Spirito di figliolanza invece ci dà fiducia ed è Lui che ci fa invocare: «Abbà (Padre)». Il
timore non dirà mai a Dio «Abbà», al contrario egli o gli è indifferente o lo sfugge o addirittura
lo odia. Lo Spirito di figliolanza ci fa crescere la speranza in Dio perché sa che su di Lui si
può fare affidamento perché è Padre di misericordia. Quando in noi stessi c’è il Suo Spirito,
c’è tutto quello che contiene tale Spirito: amore, bontà, pietà, compassione, misericordia,
altruismo, gratuità.
Questa ricchezza, spesso inesplorata, che ci dona lo Spirito di figliolanza in modalità simile
viene espressa da san Paolo nella lettera ai Galati (4,4-7): «[…] Dio manda suo Figlio […]
perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli ne è la prova il fatto che Dio ha
mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida abbà, Padre, quindi non sei più
schiavo ma figlio e se figlio sei anche erede per volontà di Dio». È lo Spirito che, inviato
come il Figlio, conferma il cristiano battezzato, nel più profondo del suo essere, nella sua
nuova condizione – figlio di Dio – e conseguentemente della sua vita nuova, tale da avere un
comportamento “divino”. Quando noi siamo pieni dello Spirito siamo infatti partecipi della
stessa eredità di Cristo, anzi, della stessa natura di Dio (2Pt 1,4) destinati alla gloria eterna.
Dal Vangelo secondo Matteo 28,16-20.
16Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra.19Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Poniamo subito, anche se in modo sintetico, i principali insegnamenti:
1) mi è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra;
2) andate e fate discepoli tutti i popoli;
3) battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo;
4) insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato;
5) io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo.
Considerazioni.
La formula trinitaria inizia con il Battesimo quando la presenza di Dio penetra nel cuore dell’uomo e lo trasforma da creatura, pur dignitosa, in figli di Dio. Tutto questo in forza di un potere di Gesù ricevuto dal Padre. Lui, che, quando fu tentato, aveva rifiutato il dominio sui regni della terra (cf. Mt 4,9-10), ora ha ricevuto questa signoria totale sugli spiriti, gli uomini, le cose (cf. Dn 7,14: «al figlio dell’uomo fu dato il potere, la gloria e il regno. Tutti i popoli, nazioni e lingue lo serviranno»). Prima del Battesimo c’è però l’insegnamento: «μαθητεύσατε» (matheteusate) e precedentemente il mandato, «andate», rivolgendosi non più soltanto agli ebrei ma anche a tutti gli altri popoli. Ognuno deve avere la possibilità di ascoltare e accogliere (o rifiutare) la proposta del Signore. Si sa che il cuore dell’uomo ha diverse possibilità di accoglienza e/o di rifiuto perché è come un terreno duro o fertile (cf. Mt 13) che a seconda delle risposte può far disseccare o aumentare la fertilità e la produzione de grano.
In nome della Trinità, cioè per virtù divina, i battezzati saranno rigenerati, consacrati a Dio uno e trino, riuniti in un medesimo corpo, che ha Cristo come capo. Più precisamente “in nome di” significa che si stabilisce una relazione personale con il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo. Tale formula è presente in questo testo e avallata anche da uno scritto molto antico, la Didaché (VII, anno 83/86?) che dice così: «circa il battesimo, così battezzate: dopo ogni premessa nell’acqua viva battezzate nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».
Non poteva finire in un modo migliore la conclusione del Vangelo di Matteo: «Ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Aveva detto «andate»; ci ha dato un compito da portare a termine: non possiamo stare più fermi ad attendere. La gente aspetta: ha bisogno di qualcuno che porti loro il Vangelo, che parli di Dio. Lui ha lasciata alla comunità dei credenti tutta la forza del suo messaggio. È la stessa comunità dei credenti, la Chiesa, che prolunga l’opera iniziata da Gesù. Ma non sarà mai lasciata sola. Il Padre, il Figlio, lo Spirito accompagneranno la sua opera; e saranno con lei per assisterla fino alla fine dei tempi.
Il mondo non è per niente un “atomo opaco del male”, perché là dentro, anche nel buio della vita, c’è una luce che brilla, la divinità nelle Tre Persone: del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
La Trinitas in cruce.
Vorrei terminare questi pensieri con le parole del cardinal Martini, che in una lettera pastorale, chiamata “Effatà, apriti” commentava così l’immagine della Trinitas in Cruce di Masaccio a s. Maria Novella:
«Guardate il Padre, al centro della figura in alto. Egli regge con le sue braccia il legno della Croce da cui pende Gesù. Il Padre è lì nell’atto di offrire suo Figlio, di comunicarlo a noi in un gesto di amore infinito.
Volgete poi lo sguardo contemplativo al Figlio. Nel suo essere inchiodato alla Croce egli, nello stesso tempo, si abbandona e si offre al Padre, si consegna agli uomini che tanto ama, anche ai suoi uccisori.
Al centro si vede la colomba, figura dello Spirito Santo. Esso sta tra il Padre e il Figlio come segno di comunione tra i due e come frutto del dono che Gesù fa della sua vita. Lo Spirito “apre” la Trinità al mondo, al tempo stesso in cui unisce il mondo al Figlio e in Lui al Padre.
Tutto questo donarsi di Dio è per l’umanità rappresentata ai piedi della Croce da Maria e dal discepolo prediletto».
Don Franco Proietto