Spiritualità presbiterale diocesana
Nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium che papa Francesco ha indirizzato il 24 novembre 2013 ai vescovi, ai presbiteri, ai diaconi, alle persone consacrate e ai fedeli laici sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, la parola spiritualità ricorre ben sedici volte. Il Pontefice mette al primo posto, ancor prima di offrire contenuti, gli atteggiamenti e gli stili di vita. Difatti, in questo documento programmatico per il pontificato di Francesco, tutti i fedeli – e in modo particolare coloro che sono chiamati alla vita sacerdotale – sono esortati a vivere da discepoli missionari. La parola «missionario» nel documento papale (cfr. EG 24) non è anzitutto un sostantivo, ma un aggettivo qualificativo che descrive l’unico modo per essere veramente discepolo di Gesù. Proprio nell’ottica della formazione alla missionarietà si tiene in Seminario un laboratorio dedicato alla spiritualità presbiterale diocesana: in questo articolo propongo una presentazione di questo laboratorio, alla luce dell’esortazione apostolica.
Anzitutto – come affermano i padri spirituali del Seminario – il presbitero diocesano, proprio in quanto presbitero, ha l’obbligo speciale di professare la perfezione cristiana nella gioia del Vangelo. Verità questa mai messa in dubbio in teoria, ma di fatto spesso dimenticata. «Il problema non sempre è l’eccesso di attività, ma soprattutto sono le attività vissute male, senza le motivazioni adeguate, senza una spiritualità che permei l’azione e la renda desiderabile. Da qui deriva che i doveri stanchino più di quanto sia ragionevole, e a volte facciano ammalare. Non si tratta di una fatica serena, ma tesa, pesante, insoddisfatta e, in definitiva, non accettata» (EG 82). Papa Francesco indica alcuni verbi per il discepolo missionario, verbi che dovrebbero rispecchiare lo stile di vita anche di un seminarista in formazione: «La Chiesa in uscita è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano» (EG 24).
Lo stile del presbitero diocesano è «esodico», in uscita, ovvero capace di intessere relazioni, a partire da quella che è all’origine della vita umana: la relazione con Dio. I fratelli e le sorelle sono la sua grande passione. Si è sacerdoti per loro. Ogni parola, ogni gesto deve essere coerente con la dignità sacerdotale. Sia ogni occupazione animata in modo squisitamente sacerdotale affinché la gente senta il sacerdote vicino, e dietro di lui la presenza del Cristo.
Prende l’iniziativa: «Del tutto prioritario, anzi preveniente e decisivo è l’intervento libero e gratuito di Dio che chiama. Sua è l’iniziativa del chiamare» (Pastores Dabo Vobis 36). Papa Francesco fa ricorso a un neologismo, preso dal linguaggio popolare argentino: primerear, che vuol dire giocare d’anticipo. Non si tratta, però, di essere uomini e donne capaci d’iniziativa, piuttosto di essere teomorfi, ossia imitatori di Dio.
Si coinvolge: Lo spirito del presbitero diocesano è coinvolgente perché egli è prima di tutto coinvolto. Non se ne sta a guardare, magari a criticare, ma ha dentro di sé l’intenzione, il desiderio, il fine, la scelta di portare tutti a Cristo. Questa è la motivazione che lo guida verso il popolo di Dio. Quell’amore per Gesù che lo ha attratto sin dall’inizio della sua vocazione è maturato nella scelta deliberata della gioia di portare agli altri Cristo e la sua misericordia. Direbbe sant’Agostino: «Tu ci hai fatti per Te e il nostro cuore non ha pace finché non riposa in Te». La missione presbiterale è inqueta fintanto che non coinvolga la moltitudine nell’amore di Dio!
Accompagna: «È necessario riscoprire la grande tradizione dell’accompagnamento spirituale personale, che ha sempre portato tanti e preziosi frutti nella vita della Chiesa» (PDV 40). L’accompagnamento favorisce la scoperta personale della dialettica che è alla base della visione di sé e della vita che non dia adito ad aspettative irrealistiche nella fedeltà alla configurazione specifica che essa ha preso nella vita di ogni singola persona. Tale configurazione è il prodotto della sua storia unica e irripetibile, nell’aspettativa realistica che in futuro la dialettica prenderà altre forme sempre nuove e inedite; nella sua gestione altrettanto paradossale: più la dialettica diventa conscia e accettata, più è facile e più favorisce lo specifico e strabiliante umano e cristiano che si può fare della propria vita un dono di sé.
Fruttifica: «La comunità evangelizzatrice è sempre attenta ai frutti, perché il Signore la vuole feconda. Si prende cura del grano e non perde la pace a causa della zizzania. Il seminatore, quando vede spuntare la zizzania in mezzo al grano, non ha reazioni lamentose né allarmiste. Trova il modo per far sì che la Parola si incarni in una situazione concreta e dia frutti di vita nuova, benché apparentemente siano imperfetti o incompiuti» (EG 24). Al sacerdote il compito di innescare processi perché si possano raccogliere un giorno i frutti e così tutti insieme essere in festa.
Festeggia: Da riscoprire è l’allegria del Vangelo e la comunione della gioia quali elementi fondanti della presenza di Gesù in mezzo ad un mondo sempre più dominato da passioni tristi. Da tale allegria e gioia traggono origine e vigore quella mistica della comunità, quel gusto dello stare insieme, quella bellezza dell’incontro, quella passione della vita fraterna, da cui veramente si effonde la naturale attrazione per una vita di fede in Gesù. Papa Francesco direbbe della «“mistica” di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio» (EG 87).
Ecco lo stile del prete che i seminaristi in formazione possono prendere a modello. Questi verbi esprimono veramente una spiritualità presbiterale diocesana perché «quando si afferma che qualcosa ha “spirito”, questo indica di solito qualche movente interiore che dà impulso, motiva, incoraggia e dà senso all’azione personale e comunitaria» (EG 261). Il sacerdote diventa un collaboratore della gioia (cfr. 2Cor 1,24) del Vangelo quando non ha come riferimento solo la Chiesa universalmente intesa, ma anche (e soprattutto!) quella locale con il suo Vescovo, il presbiterio e il popolo di Dio. Questo legame con la Chiesa locale evita che l’identità del prete sia ricercata nella dignità personale, bensì nell’apertura e nell’uscita. E così inizia il processo di spiritualità missionaria che spinge a prendere l’iniziativa, a coinvolgere e ad accompagnare per fruttificare nella festa della gioia del Vangelo.
Paolo Larin
Testi di approfondimento:
Alessandro Manenti, Comprendere e accompagnare la persona umana. Manuale teorico e pratico per il formatore psico-spirituale, EDB, Bologna 2013.
Armando Matteo, La chiesa che manca, San Paolo, Cinisello Balsamo 2018.
Giuseppe Quadrio, Cinque consigli ai novelli sacerdoti. Dal diario del venerabile don Giuseppe Quadrio.
Marcello Semeraro, Il sacerdote nella Evangelii Gaudium. Meditazione al Clero diocesano nel ritiro spirituale di settembre 2014.