Solennità di Pentecoste|C|
Atti degli Apostoli (2,1-11)
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotàmia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, Romani qui residenti, Giudei e proséliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».
Vangelo secondo Giovanni (14,15-16.23b-26)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre.
Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».
Come sappiamo la Parola Pentecoste indica il 50˚ giorno dopo la Pasqua.
Nell’Antico Testamento era chiamata “festa delle settimane”.
- In quel giorno gli Israeliti si recavano al tempio e anche in quanto “festa del raccolto”, si offrivano le primizie della terra come ringraziamento per il raccolto andato bene (cfr. Es. 23,16 e 34,22).
- In seguito la tradizione giudaica posteriore ha fatto della Pentecoste la festa che ricordava anche la conclusione del Patto del Sinai.
I cristiani celebrano invece nella Pentecoste la venuta dello Spirito Santo (cfr. Atti 2,1-21).
Mentre i discepoli di Gesù erano raccolti insieme con Maria furono ripieni di Spirito Santo, come nel fragore di una tempesta e in forma di lingue di fuoco.
Da allora la comunità dei cristiani viene presentata come nuovo popolo di Dio ed inaugura la sua espansione missionaria. L’effusione dello Spirito Santo si manifesta in una varietà ed esplosione del linguaggio tanto che “ciascuno sentiva parlare la propria lingua”.
Siccome siamo in un periodo storico in cui sembra quasi che i cristiani siano stanchi, in difesa invece che in attacco (giusto per prendere un’immagine calcistica) se non addirittura rassegnati di fronte ad un mondo che vuole emarginarci sempre più e sclerotizzare i nostri entusiasmi, mi preme evidenziare di questa festa la giovinezza dello Spirito: è proprio dello Spirito il rinnovamento della vita, la creatività dei suoi “suggerimenti”, l’invenzione di nuovi percorsi per arrivare ai lontani o agli assenti. Per questa ragione lo scrittore Ch. Pegny morto a 41 anni nella battaglia della Marna, colpito con una palla in fronte, diceva che la Chiesa nel mondo sarà sempre efficace se si presenterà come di fatto è, “giovane ed eterna insieme”.
Ho ritrovato delle parole incisive che insegnano questa verità, espresse da Paolo VI: “lo Spirito è luce, è forza, è carisma, è infusione di una vitalità superiore, è capacità di oltrepassare i limiti dell’attività naturale, è ricchezza di virtù soprannaturali, ricchezza di doni, i celebri sette doni, che rendono pronto ed agile l’operare dello Spirito Santo.
Lo spirito Santo è nella Chiesa, è l’anima della Chiesa e la vivifica e sorregge e guida, e non l’abbandona perché la Chiesa è sua”.
Il cristiano non può presentarsi al mondo smorto, apatico, sfiduciato: se fosse così, sarebbe perché è assente lo Spirito, non lo sorregge, non gli dà la linfa, vigore, passione per Cristo e per la Chiesa: insomma qualcosa non va. E quanto è accaduto nel giorno di Pentecoste, si rinnova anche oggi: lo Spirito è presente e operante come lo era nel giorno di Pentecoste, perché oggi è Pentecoste, la faccia della terra si rinnoverà quando ogni cristiano dentro di sé si rinnova con la Presenza dello Spirito. Tale presenza esige un allontanamento dello scoraggiamento e un’impostazione della vita basata su una visione ottimistica, non perché la nostra indole è tale, ma perché qualsiasi essa possa essere e/o apparire, esprime delle risorse che vengono dall’alto, non da se stesso. D’altronde questa immagine di novità ce l’aveva già data il profeta Ezechiele (cfr. 36, vv. 25-28).
Prima di riflettere su quanto ci insegnano gli Atti degli Apostoli con la Discesa dello Spirito Santo, vediamo i principali Simboli, con i quali Lui ci si presenta.
L’acqua come segno di una vita nuova.
Quando il popolo ebreo nel deserto era assetato, Mosè fece scaturire dalla roccia l’acqua perché esso fosse dissetato e potesse entrare così nella Terra promessa.
Il fuoco (come si manifesta anche negli Atti). Distrugge e purifica dalle scorie del peccato, dà calore al cuore per amare Dio. Dice Gesù: “Son venuto a portare il fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso!” (Lc 12,49). San Paolo dice: “Non spegnete lo Spirito!” (1Ts 5,19)proprio perché l’Amore dello Spirito riscalda i nostri cuori.
L’unzione con l’olio
Come Gesù con l’unzione è tutto del Padre, così il credente quando riceve lo Spirito è proprietà di Dio.
Il sigillo
I Re e gli imperatori sigillavano lettere o contenuti preziosi con l’impronta del loro anello perché esse appartenevano tutte a lui, erano sua totale proprietà. Ogni cristiano è sigillo di Dio, è sua impronta, sua proprietà quando riceve lo Spirito.
Il Sigillo è il marchio, l’impronta, il timbro dello Spirito dentro il cuore di un credente.
Nube è luce
La nube può essere scura e luminosa, ma rivela Dio, dopo averne nascosta la trascendenza. La nube guida il popolo nel deserto, così lo Spirito guida il popolo di Dio nel deserto del mondo.
Quella nube è lampada ai passi del cristiano che viene illuminato dal Signore.
L’imposizione delle mani
È imponendo le mani che Gesù fa scendere lo Spirito Santo per dare loro la salute del corpo o la remissione dei peccati.
Nella consacrazione della Messa il sacerdote invoca e fa scendere lo Spirito Santo perché il pane diventi Corpo e il vino diventi Sangue di Gesù.
Il Dito
Il Dito di Dio ha scritto la legge sulle tavole; il Dito dello Spirito incide la legge di Dio nel cuore del credente (2 Cor 3,3).
Non è l’inchiostro che scrive, ma il dito di Dio che incide il suo amore nel nostro cuore.
La Colomba
È simbolo della pace. Spirito come libertà. Spirito come nuovo patto tra Dio e l’uomo. Spirito stesso sotto forma di colomba.
Vento-soffio-alito
Segno di vita (ricordo dell’Africa quando si agonizzava…). Gesù alita per donare la grazia e perdonare dal peccato. Il soffio (l’alito) di Dio ha fatto creare l’uomo.
Da uomini morti a persone vive (cfr. Ez 37)
La differenza tra un uomo cadavere e un uomo vivo la fa lo Spirito: il primo ne è privo, il secondo ne è pieno.
In questa terza parte cerchiamo di ascoltare i suggerimenti dello Spirito, che è Paraclito, e ci consiglia come dobbiamo agire in quanto parte del Popolo di Dio. C’è un popolo nuovo, non fondato sulla lingua o la razza, ma sull’abitazione dello Spirito dentro ogni appartenente ad esso.
Lo Spirito, uno, si distribuisce nella varietà delle persone. Come la pioggia – dice un famoso padre della Chiesa – è una, ma dà a ciascuno albero la possibilità di produrre frutti secondo la propria specie, così lo Spirito è uno, ma si diffonde in tutti gli spazi della terra, tra tutte le razze umane e da tante persone, forma una sola famiglia. È lo stesso Spirito che dà coraggio e fortezza per testimoniare Dio. È Lui stesso che ci rende fiduciosi e attivi. L’immagine possiamo ritrovarla proprio dagli Atti: prima dello Spirito, gli Apostoli erano impauriti e, per paura dei Giudei, erano chiusi in casa. Poi, dopo che lo Spirito è sceso su di loro, vanno fuori, nelle piazze di Gerusalemme, a testimoniare che Gesù è risorto, anzi che loro stessi, i Giudei, sono responsabili della sua morte. Loro non possono tacere, devono piuttosto dire a chiare note che Gesù è il Kirios, il Signore, il Salvatore dell’umanità e che loro, che hanno mangiato e bevuto con Lui, ne sono testimoni.
Se noi stessimo ancora rintanati in casa, vorrebbe dire che lo Spirito, entrato in noi, prima con il Battesimo, poi con la Cresima, poi per alcuni di noi, abbondantemente con il sacerdozio è ancora un estraneo, un illustre sconosciuto dentro la nostra vita.
Se ci fosse ancora qualche remora a portare Gesù agli altri, significherebbe che lo Spirito…s’è volatizzato per colpa dei nostri egoismi.
Se non siamo missionari e testimoni, se siamo ancora chiusi dentro le case, per paura dei Giudei, cioè del mondo di oggi, vuol dire che non siamo ancora maturi per essere testimoni che paghino di persona. Ogni cristiano è per natura missionario, mandato a portare Cristo a chi non lo conosce ancora. Dovremmo sentire come Maria, che si reca da Elisabetta, la necessità e la fretta di andare incontro agli altri a far conoscere Gesù.
Quando venne lo Spirito Santo “c’era anche Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui”.
Un pittore dipinge la scena riportando gli Apostoli che erano “fuori di sé”, “sbigottiti”, “perplessi” (questi sono gli aggettivi che si trovano in Atti). Maria invece è immobile, ieratica, riflessiva, in adorazione dello Spirito Santo che già aveva ricevuto durante l’annunciazione. Per lei la discesa dello Spirito Santo non è una novità: è vissuta così per una vita intera. Lei era l’abitazione abituale dello Spirito. Alla chiusura del mese di maggio, ricordiamola così: in adorazione dello Spirito che non si è mai allontanato dalla Sua vita, di cui era abitualmente ripiena.
Riflessione di don Franco Proietto