Scoprirsi perfetti sconosciuti
di Matteo Parente, seminarista del II Filosofia
“Ognuno di noi ha tre vite: una pubblica, una privata e una segreta”. Da questo aforisma di Gabriel Garcia Marquez prende le mosse “Perfetti sconosciuti” di Paolo Genovese, premiato come miglior film al David di Donatello 2016. Affidata ad alcuni degli attori più in voga nel panorama nazionale attuale, la commedia, dal sapore tutto teatrale, sa amareggiare lo spettatore più di un thriller. Sullo sfondo di un’eclissi lunare, metafora delle zone d’ombra dell’animo umano, una cena tra amici diviene occasione per un gioco malizioso: tutti i telefonini sul tavolo, chiamate e messaggi dovranno essere condivisi fra tutti. La rivelazione di quanto passa per quella “scatola nera” che il cellulare è diventato, porta a galla fragilità e paure, segreti e tradimenti coniugali in un climax esponenziale di colpi di scena. I dialoghi brillanti mettono a nudo doppiezze e falsità, peccati ed inconfessate frustrazioni di sette personaggi borghesi, ciascuno ben caratterizzato secondo il proprio profilo temperamentale, cosicché il film scivoli dalla scherzosa convivialità dell’esordio al muto gelo della conclusione, appena prima del geniale epilogo. I contenuti cinici e malinconici possono ricordare le spietate commedie di Sordi o Monicelli ma la catarsi prodotta nello spettatore più che in un venato moralismo si radica nell’espressione verista del disagio dell’uomo di oggi, orfano, volente o nolente, di relazioni autenticamente umanizzanti persino nella cerchia degli amici o tra le braccia del partner.