OBBEDIENZA E SPIRITO DI INIZIATIVA
Il missionario «sia ben persuaso che è l’obbedienza la virtù distintiva del ministro di Cristo, che con la sua obbedienza riscattò il genere umano» (AG, 24). Così è delineato – nel Decreto sull’attività missionaria della Chiesa Ad Gentes – in una delle caratteristiche dello spirito del missionario. Inoltre, «egli deve essere pronto a prendere iniziative, costante nel portarle a compimento, perseverante nelle difficoltà» (AG, 25).
Da questi due paragrafi possiamo tracciare una parte del profilo spirituale del missionario che è chiamato, dunque, ad essere obbediente e pieno di spirito di iniziativa. Ma obbediente a chi? Fin dove spingersi con lo spirito di iniziativa? E una volta conosciuta la bontà di questi atteggiamenti, come assumerli nella vita di ogni giorno, dato che «ogni cristiano è chiamato a essere missionario e testimone di Cristo. E la Chiesa, comunità dei discepoli di Cristo, non ha altra missione se non quella di evangelizzare il mondo, rendendo testimonianza a Cristo» (Francesco, [papa], Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale 2022). Come trasmettere questa consapevolezza agli altri?
Queste e altre le domande hanno accompagnato il nostro primo incontro di formazione di spiritualità missionaria tenutosi il quindici dicembre 2023.
Dunque, obbedienza e spirito di iniziativa. Dove partire? E soprattutto fin dove spingersi? Si può dire che l’obbedienza – intesa come ascolto dello Spirito Santo e delle sue ispirazioni – è sia all’inizio sia alla fine dell’attività missionaria. Lo Spirito, difatti, suscita proposte che il discepolo missionario, per mandato della Chiesa, è chiamato a mettere in pratica, ad obbedirvi, prendendo anche iniziative e perseverando in queste iniziative, rimanendo obbediente. Facciamo un passo ulteriore vedendo più nel dettaglio la definizione di questi aspetti della spiritualità del missionario.
L’obbedienza cristiana – come suggerisce l’etimologia, dal latino ab-audire, cioè ascoltare – è innanzitutto ascolto dello Spirito Santo che, come nell’episodio dell’Annunciazione a Maria (cfr. R. Cantalamessa, Obbedienza, Àncora, Milano 2013, 68), si traduce in un fiducioso e umile abbandono al progetto d’amore di Dio per l’umanità, passando attraverso ragionamenti e domande per sfociare nella carità gioiosa che sente la necessità, il bisogno di condividere con gli altri la propria gioia, proprio come Maria con Elisabetta. È questo il fine della missione di Gesù. Anche per noi è lo stesso: portare la gioia, l’unità, l’amore del Padre (cfr. G. Colzani – Fr. Grasselli – V. Milani, Lasciarsi condurre dallo Spirito. La spiritualità missionaria, EMI, Bologna 2002, 48).
In questa sede, l’obbedienza è ascolto della propria coscienza, luogo dove Dio parla all’uomo, che è ammaestrata dallo Spirito Santo con anche la mediazione di fratelli, di incontri, di consigli, di correzioni fraterne, di atti di carità. Questo ascolto dello Spirito che parla alla nostra coscienza propone quasi sempre un atto di carità, un sogno da realizzare, luogo dello spirito d’iniziativa. Iniziativa che non viene da noi, così come la forza e la fiducia nell’aderirvi (vedi il profeta Geremia), ma alla quale dobbiamo disporre noi stessi e i nostri cuori, amando la povertà e la fiducia, e chiedendo al Signore virtù e fortezza (cfr. AG, 24). L’iniziativa del missionario nasce, quindi, dall’obbedienza alla nostra coscienza guidata dallo Spirito e procede con umiltà, se necessario, anche fino alla morte e allo spargimento del sangue (cfr. AG, 24), amando fino alla fine.
Come è, perciò, conciliato obbedienza e spirito d’iniziativa? «In quanto creatura ‘personale’ l’uomo obbedisce al Creatore non come uno schiavo, che è privo della responsabilità personale per il fatto che esegue passivamente gli ordini del padrone, ma come un partner di Dio, in rapporto dialogale e libero nei suoi confronti. In questo contesto, è l’amore a presiedere i rapporti tra Dio e l’uomo, l’amore di un Dio che è padre e che vuole educare il figlio ad essere autonomo nelle decisioni» (C. Zuccaro, Il morire umano. Un invito alla teologia morale, Queriniana, Brescia 2002, 93).
C’è da dire, però, che non si nasce imparati nell’arte dello Spirito, tutt’altro! In campo di obbedienza persino il Cristo aveva continuamente da imparare. Gesù «imparò l’obbedienza dalle cose che patì» (Eb 5,8), continuando a farsi vicino a noi uomini, essendo solidale con noi, e guidandoci come il buon pastore, riportandoci a Sé. Con l’icona del buon/bel pastore che alla pecorella smarrita non chiede di fare grandi cose ma di lasciarsi condurre al riposo su pascoli erbosi ed acque tranquille ci diamo appuntamento al prossimo incontro di formazione missionaria. L’obbedienza è, così, abitare nella casa del Padre; un dolce conforto nella tribolazione. L’obbedienza è ascolto del consiglio del fratello, e per amore salva.
Pasquale Rinaldi