III Domenica del Tempo Ordinario | Anno A
Dalla prima lettera di San Paolo apostolo ai Corinzi (1 Cor 1,10-13.17)
Vi esorto pertanto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire. Infatti a vostro riguardo, fratelli, mi è stato segnalato dai familiari di Cloe che tra voi vi sono discordie. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: “Io sono di Paolo”, “Io invece sono di Apollo”, “Io invece di Cefa”, “E io di Cristo”. È forse diviso il Cristo? Paolo è stato forse crocifisso per voi? O siete stati battezzati nel nome di Paolo? […] Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo.
Dopo il saluto che Paolo rivolge alla comunità di Corinto, a cui augura “grazia” e “pace”, l’apostolo entra direttamente nella reale situazione di questa e ne stigmatizza gli aspetti devastanti delle rivalità, dei poteri di appartenenza a sette e gruppi o a partiti, della lacerazione dell’unico corpo di Cristo smembrato dalle varie fazioni.
Andiamo con ordine.
L’esortazione è forte; ed è fatta nel nome di Cristo:
- che i cristiani siano unanimi nel parlare
- che non ci siano divisioni (in greco: “skismata”)
- che siano in perfetta unione di pensiero e di sentire.
Ribadiamo un pensiero espresso più volte quando ci sono divisioni, malintesi, incomprensioni e cose simili tra i cristiani, in modo particolare tra seminaristi e sacerdoti: se l’elemento Cristo che è ragione di unione tra i battezzati non è così forte da superare tutte le possibili divergenze e queste prevalessero portando guerra invece che pace tra i cristiani, vuol dire che l’uomo vecchio non è ancora morto e schiaccia l’uomo nuovo fatto di amore e di perdono; non ci sarebbe, per questo, differenza tra un pagano e un cristiano.
Applichiamolo a noi: qualsiasi possa essere il motivo di contesa (“erides” in greco: contesa, lotta, litigio) tra di noi e questo costituisse il tipo di relazionarsi in modo prevalente e permanente degli uni verso gli altri, vorrebbe dire che “il peso” di Cristo nella nostra vita varrebbe ben poco e “noi saremmo ancora nei nostri peccati”. Anche perché alla mancanza di amore e di perdono si aggiungerebbe “lo scandalo” di divisioni per i non credenti. Il grido di Giovanni Paolo II: “cristiani, siate cristiani!” vale soprattutto per questo. Il mondo ha bisogno di cristiani veri, non di quelli che sono chiamati così, che poi nella realtà, tradiscono questo nome e questa identità.
Il primo passo inizia da una conversione interiore completa propria perché la mente e gli intenti possano dirigere le azioni pratiche verso il bene, che qui è l’avere, se così possiamo dire, “un cuor solo e un’anima sola”. “La gente di Cloe” ha segnalato che tra i battezzati di Corinto ci sono discordie. Non è un pettegolezzo, ma la constatazione di una situazione scandalosa che Paolo deve conoscere e sanare. Non si conosce chi possa essere questa Cloe. Cristiana? Commerciante? È certamente una persona che ha qualche certa autorità (o autorevolezza) e importanza se, come si dice, è la referente di affermazioni attestanti comportamenti divisori tra i cristiani di Corinto. Questi avevano creato dei veri e propri partiti, ai quali aderivano, in ruoli differenti, i battezzati. E affermavano: “Io sono di Paolo”, “io sono di Apollo”, “io sono di Cefa”, “ed io di Cristo”.
Nei versetti seguenti questo capitolo (21-23) Paolo decisamente dice che “nessuno ponga la sua gloria negli uomini”. Essi sono a vostro servizio, non i capi-partito della comunità.
Ci fermiamo ancora un’altra volta per riflettere: “se un regno è diviso in se stesso, cadrà in rovina; se una casa è divisa in se stessa, quella casa cadrà in rovina” (Mc 3,24). È un problema serio all’interno di ogni società, ma è molto grave all’interno di ogni comunità cristiana. Un Imam, a chi accusava i Mussulmani di voler attaccare la cultura cristiana perché non vorrebbero i presepi nei luoghi pubblici, apertamente affermava: “i nemici vostri non siamo noi, ma si annidano dentro le vostre comunità, le vostre istituzioni, le vostre stesse case”. I nemici dei cristiani nel nostro mondo occidentale, sono all’interno della nostra cultura, della nostra religione, della nostra fede: siamo noi stessi. In qualche modo era accaduto già a Gesù: “i nemici dell’uomo sono quelli della sua casa” (Mt 10,36). Per precisione: quelli che si dichiaravano di appartenere a Paolo lo facevano, molto probabilmente perché era stato lui, con Sostene, a portare per primo il Vangelo.
Quanto ad Apollo, noi sappiamo anche dagli Atti (18,24-28) che lui, ebreo alessandrino convertito a Cristo, era brillante per l’eloquenza e di fronte a Paolo, più dimesso nel parlare, faceva la sua bella figura. È naturale, umanamente parlando, che tanti erano attaccati a lui per queste sue qualità. Ma Paolo non ne era geloso, tanto da affermare che “Apollo ha irrigato ciò che Paolo ha piantato” (1 Cor 3,6). Anche il partito di Pietro aveva dei suoi aderenti. Era forse stato anche lui a Corinto (cfr. 9,5). C’è dunque collaborazione e non rivalità tra di loro. Forse “ed io di Cristo” potrebbe essere un’espressione pronunciata da Paolo stesso di fronte alle scelte degli altri “partiti”. In altri termini, Paolo avrebbe confermato la sua adesione a Cristo quasi stizzito che si potessero fare delle scelte differenti da quella “per” Cristo.
E si domanda con sarcasmo: “È forse diviso il Cristo? Paolo è stato crocifisso per voi? O siete stati battezzati nel nome di Paolo?”.
Ecco: sta tutta qui la soluzione a certi comportamenti di divisione: noi siamo tutti collaboratori di Cristo. È Lui, corpo ben compaginato di cui noi siamo le membra (1 Cor 12,12-24) che dà la ragione della nostra varietà di qualità, carismi e funzioni, in unità di intenti e spirito.
Come si può capire: già in questi passi Paolo ha le idee molto chiare riguardo alla diversità delle singole membra, che però debbono convergere tutte in Cristo. Egli è il fondamento della Chiesa; nel suo nome noi siamo battezzati; per lui noi lavoriamo; tra di noi collaboriamo per un unico fine.
Tutte le volte che noi facciamo girare tutte le nostre attività pastorali attorno a noi o al nostro gruppo, ogniqualvolta ci mettiamo in competizione e rivalità con gli altri nel nome del nostro prestigio e tornaconto, distruggiamo la presenza di Cristo e frammentiamo la comunità in espressioni di fede che, a lungo andare, inaridiscono e muoiono.