III Domenica di Avvento | B
Dal libro del profeta Isaia
Lo spirito del Signore Dio è su di me,
(Is 61,1-2.10-11)
perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione;
mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri,
a fasciare le piaghe dei cuori spezzati,
a proclamare la libertà degli schiavi,
la scarcerazione dei prigionieri,
a promulgare l’anno di grazia del Signore.
Io gioisco pienamente nel Signore,
la mia anima esulta nel mio Dio,
perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza,
mi ha avvolto con il mantello della giustizia,
come uno sposo si mette il diadema
e come una sposa si adorna di gioielli.
Poiché, come la terra produce i suoi germogli
e come un giardino fa germogliare i suoi semi,
così il Signore Dio farà germogliare la giustizia
e la lode davanti a tutte le genti.
Questo brano è del Terzo Isaia. Con il cap. 62, tutto compatto, può essere riferito ad un solo autore, che probabilmente ha operato come Profeta tra il 537 e il 520 (invece il vero Isaia ha profetizzato tra il 740 e il 700, anche se non in continuazione).
La situazione oggettiva è difficile per più ragioni:
– non si vede la salvezza promessa; si comincia dunque a perdere la speranza.
– Il male più grande è il peggiore per Israele: invece di ringraziare il Signore ci si affida agli idoli.
– I Ritornati dall’Esilio, o dalla Diaspora o gli stessi – pochi in verità – che erano rimasti in patria, non legano tra di loro; anzi cresce un’atmosfera di incomprensione, intolleranza, odio; quanto agli stranieri non solo non sono graditi, ma disprezzati.
Però in queste varietà di situazioni tutti hanno un riferimento sicuro che è Dio chiamato il Santo; e il Popolo si sente sempre l’Eletto tra tutti i popoli della terra.
Di fronte al Signore, che è il Dio dell’Alleanza, giusto e fedele nell’amore, il popolo deve assumersi le sue responsabilità. In questo cap. 61, parla il Profeta (il cui nome ci è sconosciuto) il quale annuncia che in questa complessa situazione ha riconosciuto dal Signore un messaggio di consolazione: 1) «a portare il lieto annuncio ai poveri; 2) a fasciare le piaghe dei cuori spezzati; 3) a proclamare la libertà degli schiavi; 4) la liberazione dei prigionieri; 5) a promulgare un anno di misericordia del Signore».
Il messaggio ha un importante valore strutturale in questo tempo di Avvento, perché Gesù stesso afferma che queste parole si compiono in Lui (Lc 4,18-21). Tutte le predizioni del Profeta confluiscono in Gesù. Anzi dire che quanto predetto dal Profeta, oggi (semeron) è adempimento della Scrittura, oggi la Salvezza viene realizzata. È Lui l’Atteso e ciò che porta a termine accade, si realizza, perché lo Spirito del Signore soffia su di Lui.
Marco aveva parlato del compimento dei tempi (1,14). Luca pone l’attenzione su quello della Scrittura.
Ed ora vediamo le singole attese realizzate: il popolo attende un mondo nuovo, Gesù lo porta a compimento.
– Porta il lieto annunzio ai poveri: sulla scia delle parole e dello Spirito del Battista, siamo convinti che Gesù è venuto per i poveri, i miseri (ptoxois).
Il concetto è chiaro: Gesù non è venuto per quelli che, come dicono loro, non hanno bisogno di niente e di nessuno, che credono e dicono che sono autosufficienti, per quanti non riconoscono che, come tutti gli uomini, sono limite, per i saccenti, “i sapientoni e i dotti”, ma per quelli che, da poveri, attendono con umiltà tutto da Dio. Ed è così che tendono mano, mente e cuore per poter ricevere. Chi manca di tutto ha, infatti, bisogno di tutti e di ogni cosa.
Ora è da considerare, nel testo, che chi dona a chi ha la mano tesa, dà la sua principale ricchezza: il lieto annunzio (euaggelisastai), proprio il messaggio evangelico perché con questa “ricchezza” può rispondere ad ogni tipo di povertà (economica, spirituale, intellettuale, sociale…).
È proprio il Vangelo incarnato nella Persona di Gesù che rende il povero ricco e il bisognoso sazio (di valori, di significato, di realizzazione delle tante attese della vita). Bonhoeffer diceva, quando gli mancava davvero tutto durante la prigionia: “Cristo mi basta”. E ciò che Paolo sente come consolazione di Gesù: “Sufficit tibi gratia mea”- ti basta la mia grazia.
2) a fasciare le piaghe dei cuori spezzati.
Ogni uomo ha le sue ferite che toccano l’ambito dell’affettività o per colpa dei genitori o come sposi o per altre ragioni: queste hanno bisogno di cura, di affetto, di comprensione. Ogni uomo vuole le “coccole”. Queste ferite sono più dolorose di quelle del corpo: si può appagare una persona affamata dando ad essa un tozzo di pane, ma una parola di conforto, una carezza, un abbraccio, un sorriso guariscono più del cibo. I tradimenti degli amici sono delle piaghe dolorose che purtroppo nella vita sono poco cicatrizzabili. Chi illude l’altro/a facendo credere di volergli/le bene e poi invece lo strumentalizza, è un omicida.
3) proclamare la libertà degli schiavi
Gli schiavi sono gli oppressi, coloro che non avevano alcun diritto civile né dignità umana. Da persona libera, dignitosa e rispettata, lo schiavo diventava una “res”, una cosa, un oggetto, completamente nelle mani di chi lo opprimeva. Per gli schiavi non c’era possibilità di essere rispettati né dai padroni né dalla società. Molti di loro, se prigionieri di guerra, e non utili al lavoro, venivano addirittura accecati. Peggio ancora era la condizione delle schiave: a totale dipendenza dei loro padroni, in tutti i sensi, venivano anche vendute nei mercati delle schiave al miglior offerente.
Ma c’è una schiavitù di se stessi, del vizio, del peccato, del male, da cui Gesù è venuto a liberarci: da questa dipendono tutte le altre schiavitù. Il vizio, infatti, cioè una ripetizione di azioni cattive, che formano una seconda natura, ci costringe ad essere dipendenti; e una volta persa la libertà di se stessi, per colpa propria, si perde la stessa dignità di persona. Uno schiavo soggetto al proprio padrone sarebbe potuto diventare un libero; ma chi è schiavo di se stesso, se non si libera dal male, dal peccato – che solo Dio può fare – è come il cavaliere (la ragione) dominata dal cavallo (l’istinto). Non sia mai .
– la scarcerazione dei prigionieri
Il prigioniero ha perso la libertà anche dal mondo esterno. È chiuso nel carcere in modo orribile: dei ceppi lo tenevano legato ai piedi, e in alcune società, anche al collo con una catena di ferro. Mangiavano l’indispensabile per vivere perché erano un peso per la società. In genere, più che prigionieri di guerra che venivano offerti ad un padrone come bottino, erano delinquenti comuni che avevano commesso delitti, furti, omicidi, violenze. Oltre alla perdita della libertà c’erano tante pene corporali, penuria di cibo, mancanza di igiene, sopraffollamento dei luoghi di detenzione, e, come è naturale, perdita assoluta di dignità: allora davvero si era solo dei numeri senza dignità e personalità.
Gesù è venuto a liberare gli schiavi e ci ha reso persone, figli di Dio, dignitose. Quando Paolo dirà: “non c’è più né uomo né donna, né schiavo né libero, né scita, né greco, ma tutti siete uno (εν= una sola cosa) in Cristo Gesù, ha evidenziato la novità del cristianesimo di fronte alle varie appartenenze e etichette (ricco, povero, bello, brutto, simpatico, antipatico) che si appiccicano all’uomo quasi per dargli sostanza.
– A promulgare l’anno di misericordia del Signore.
Abbiamo detto altre volte che tra i concetti più importanti del popolo eletto c’era quello di misericordia (Hesed) e quello di riscatto (Go’el).
Dio ha misericordia verso il peccatore di generazione in generazione verso quelli che lo amano. Questa parola ebraica “Hesed” ha numerosi significati: misericordia ma anche benevolenza, bontà, tenerezza, disponibilità. Questo è Dio. Questo è Gesù.
Una persona indebitata, a cui era stata sottratta casa e terra, poteva riscattarle se aiutato da un parente o un amico a pagare il debito. Dio gratuitamente ci ha mandato suo Figlio Gesù, gratis, per riscattarci dal peccato, male strutturale dell’uomo. Non dovremmo vivere un avvento di gratitudine per quanto Gesù ha fatto per noi? Nato, morto per liberarci dal male e renderci liberi dalla schiavitù, dalle dipendenze, dai vizi. Possiamo allora continuare a vivere come se Lui non fosse venuto?
– La nuova e stabile alleanza con Dio viene espressa nei vv. 4-9, che qui nella lettura di oggi non sono riportati.
Nel rapporto tra noi e Lui, noi non sempre siamo fedeli al patto; Lui invece lo è nonostante tutto.
– la comunità intera dovrebbe trovare motivo di gioia in questo. È un fatto che mi ha raccontato un mio amico sacerdote neocatecumeno: era stato inviato in un paese dell’Emilia. Arrivato, va a cercare il parroco. C’è la “perpetua” che risponde: “non c’è; devo dire qualcosa?” Risponde l’amico sacerdote: “sorella, dobbiamo portarle una bella notizia!” Risponde la perpetua: “ma l’hanno finalmente fatto Monsignore?”. Non lo avevano fatto monsignore. Gli dovevano solo ricordare che Gesù è venuto per noi: non ci dà un titolo, ma una dignità “Altri Cristo”: più di questo?
Nell’avvento questa certezza deve essere macerata nel cuore. Dio mi ama. “Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi” (Gv 4,10).
Sentirsi amati -da Dio poi! – sentirsi voluti bene, identifica una persona. L’uomo combina tante sciocchezze, si butta nei vari ponti di Ariccia che la società gli offre, perché crede che tutti si siano dimenticati di Lui, che nessuno gli voglia bene.
Noi siamo consapevoli che, nonostante tutto, Dio mi ama e ha dato la sua vita per me.