III Domenica di Avvento – Anno A
Meditazione sulle letture della domenica a cura di Don Franco Proietto, padre spirituale
ASCOLTIAMO LA PAROLA…
Dal libro del profeta Isaia (35,4-6)
Dite agli smarriti di cuore:
«Coraggio! Non temete; ecco il vostro Dio,
giunge la vendetta,
la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi».
Allora si apriranno gli occhi dei ciechi
e si schiuderanno gli orecchi dei sordi.
Allora lo zoppo salterà come un cervo,
griderà di gioia la lingua del muto,
perché scaturiranno acque nel deserto,
scorreranno torrenti nella steppa.
Dal Vangelo secondo Matteo (11,2-11)
In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”.
In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».
Quale Gioia?
I cosiddetti “tempi forti” sono un’occasione per fare, tra l’altro, una revisione generale della impostazione della vita. Anche perché, all’inizio del cammino, si fanno volentieri i propositi e le intenzioni sono buone spesso anche numerose: certamente in buona fede. Ora il nostro confronto, oltre che, come è naturale, va fatto con Dio, dobbiamo farlo anche con la società di oggi, con la cultura dominante (Gramsci la chiama “egemonia”).
Questa si manifesta in tre aspetti, che sono in fin dei conti, in opposizione al cristianesimo: ricerca di benessere, divertimento, piacere. Come si sa poi, riguardo al benessere, ci si trova di fronte ad un equivoco di fondo, perché sostanzialmente si pensa e si vuole raggiungere il bene-avere. Il che è una identificazione impropria. Questi tra aspetti non afferiscono i significati profondi della vita, perché non danno la vera gioia né la felicità, ma spazzi di entusiasmo e risposte epidermiche alle richieste di senso che sono molto profonde.
Da un’altra parte c’è Nietzsche che rimproverava ai cristiani di pretendere di essere dei salvati, ma di non avere per niente il comportamento perché avevano le facce tristi e cantavano canti malinconici e specificamente affermava: “crederò al loro Salvatore quando vi vedrò con la faccia dei salvati” e ancora “se Cristo è risorto, perché siete così tristi? Voi cristiani non avete un volto da persone redente!”.
A queste parole faceva eco lo scrittore cattolico Bernanos: “cristiani che ne è della vostra vita? Dove è la vostra gioia? Dovreste riempirne il mondo!”
In sostanza, se non siamo inondati della gioia e se non ci rallegriamo di quanto ci dice oggi la Parola di Dio, se il Vangelo, cioè il buon annuncio non ci rallegra il cuore, vuol dire che ancora non è penetrato a fondo dentro di esse, ma o sta ancora sospeso nel generico o è soffocato da altre ragioni umane di gioia e di felicità.
Non è male gioire per le cose belle della vita: le amicizie, gli amori, i canti a squarciagola, le tavole imbandite con l’allegria della famiglia, godere della salute del corpo, gioire per la guarigione di una malattia, ed entrando nel mondo dello spirito, essersi liberato da un tremendo peso di odii e rancore: tutto ciò rende la vita degna di essere vissuta. Ma c’è una ragione di gioia che è data da motivi “nuovi”, profondi che colgono l’esistenza nella sua duratura di gioia: “Rallegratevi sempre nel Signore” dice l’antifona d’inizio, “Rallegratevi: il Signore è vicino”.
La gioia della liberazione
C’è una liberazione di tutto un popolo nelle ragioni di gioia descritte dal secondo Isaia. Nell’esilio c’era la punizione di Dio verso il popolo che aveva bisogno di perdono e quando il Signore lo concede, prova ne è la liberazione dalla terra di schiavitù. C’è profondo motivo di gioia, di allegria. Il Signore dà di nuovo fiducia al suo popolo. È vero che qualcuno, restando in Babilonia, ha continuato a preferire l’allontanamento dal popolo di Dio, da Jahwè, ma i più, la parte cospicua del popolo, sono ritornati al proprio Dio, con riconoscenza, perché riconciliati e ancora in cammino con Lui. Questa è la gioia fondamentale, che poi hanno accompagnato le tante altre: dal ritorno ai propri affetti, alle proprie case, alle proprie terre, soprattutto alla propria libertà. Insomma per tutti i ritornati c’è una vera e propria risurrezione, rifiorisce la speranza. Su questa speranza, che è come un sostrato di tutte le attese, nascono le nuove realtà della vita. La certezza più grande ritrovata è che il Signore è in mezzo al suo popolo e non lo abbandonerà più. Davvero «se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?».
Per quanto è accaduto, anche il Signore gioirà «Esulterà di gioia per te, ti ritroverà con il suo amore, si rallegrerà per te con grida di gioia, come nei giorni di festa» con un tocco di antropomorfismo, sembra che Dio sia più felice Lui di quanto lo sia il popolo!
Sei tu colui che deve venire?
Andiamo al Vangelo che anche oggi ci presenta come centrale la figura di Giovanni.
La domanda di Giovanni è estremamente attuale per noi: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attendere un altro?”
Sei tu, Gesù, quello che tutta la gente aspetta perché è stanca di sentire le promesse per lo più non mantenute di tanti Messia o sei anche tu una delusione? Possiamo davvero fidarci di te? possiamo dire ancora una volta, ciò che ti disse allora S. Pietro: «Signore, dove andremo? Tu solo hai parole di vita eterna»
E tu, Gesù, hai dato delle risposte chiare, le verifiche alle possibili incertezze, la realtà visibile: «i ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella; e beato colui che non si scandalizza di me» (vv 5-6)
Queste sono le opere, i fatti, che tutti conoscevano come identificazione del Regno di Dio, o dei Cieli o meglio con lo stesso Gesù. È dunque sicuramente Lui il Messia. L’attesa dei secoli è li davanti a loro e Giovanni può rimanere assicurato.
Ed è lo stesso Gesù che, lui assente, anzi in carcere, spezza una lancia a favore di Giovanni Battista: la domanda è retorica: che cosa siete andati a vedere nel deserto?
Giovanni, secondo Gesù, è proprio il contrario di quello che lui affermava, appunto in termini retorici?
- Giovanni non è una canna agitata dal vento. La canna è simbolo di chi si piega a tutti i venti, di chi è soggiogato dai forti, di chi si arrende ai potenti, di persone fragili e accondiscendenti o dei tolleyman, cortigiani volubili che hanno in tasca tutte le tessere di tutti i partiti. Giovanni è una quercia coerente, lineare, ferma. E voi?
- Un uomo avvolto in morbide vesti? Non lo è, Giovanni pare che non avesse nemmeno una casa stabile, immaginarsi se avesse delle morbide vesti.
Il suo discorso era ruvido e deciso proprio perché affrontava la persona andando diritto all’essenziale: non sono le vesti -morbidi o di pelli di cammello- che fanno l’uomo, ma la lealtà del suo cuore, l’attesa e la presunzione del Regno di Dio, di Cristo. Il lusso e l’opulenza non si addicevano ad uno che faceva del deserto il terreno della semina del tuo messaggio.
- Giovanni Battista è un profeta. Il profeta è un nomade che corre qua e là per portare la Prola di Dio. È uno che parla a nome di Dio. È di più: colui che prepara l’avvento del Cristo. Insomma, colui che prepara il Natale, la sua venuta tra noi.