II DOMENICA DI QUARESIMA (B)
LA TRASFIGURAZIONE (Mc 9, 2-10)
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.
Poco prima (Mc 8,31-32) Gesù aveva parlato della sua passione, morte e resurrezione, con grande “scandalo” di Pietro e relativo rimprovero di Gesù molto duro: “lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” (v.33)
Ora fa vedere quale sia la sua vera natura, chi davvero Lui sia, quale rapporto di figliolanza c’è tra lui e il Padre celeste.
Ma gli insegnamenti non finiscono qui: ce ne sono anche altri che cercheremo di evidenziare insieme.
È certamente un momento di gloria di Gesù avallato anche dalle parole del Padre: “Questi è il figlio mio prediletto. Ascoltatelo”; ed è bello restare tanto da chiedergli di poter erigere tre tende – che davano una certa protezione – e godere appieno questi momenti di felicità.
Queste parole le ha dette Pietro: lo stesso che poi dirà: “non conosco quell’uomo!” è naturale che Pietro è il nostro referente, o meglio è tutti noi. Siamo noi quando nei momenti della prova diventiamo pusillanimi, codardi e falsi, tanto da rinnegarlo; come pure nei momenti della gioia, come questo, vorremmo sfruttare la situazione per non perdere queste felici occasioni.
Succede anche nella vita matrimoniale: si dice, nelle promesse, di essere fedeli sempre, di accogliere l’altro/a[1] in ogni situazione: “nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia…” e poi quando una delle due persone si ammala, viene abbandonata a se stessa, come se non ci si conoscesse per niente.
E per noi non è lo stesso? Quando Gesù ci gratifica ci dà profondi sentimenti di serenità o addirittura di gioia, gli siamo amici, senza dubbio non c’è bisogno di ricorrere a qualche illustre personaggio per dare valore a questa verità, perché è la nostra stessa esperienza che ce lo testimonia. Ma rafforziamola con il riferimento a due personaggi:
Euripide dice: “I buoni amici si vedono chiaramente nelle sventure” Un altro è Ovidio: “finché sarai felice avrai molti amici, ma se i tempi si faranno bui, resterai solo”. Ora, sempre per esperienza, sappiamo e costatiamo che momenti di gioia e di dolore si alternano continuamente nella nostra esistenza: accogliamoli come dono sia di comprensione della vita, sia come offerta “nostra” al Signore: se il Signore è fedele alla promessa fatta ad Abramo, come non lo sarà verso ciascuno di noi?
Tre frasi prese qua e là dalle letture di oggi, ci portano ad una riflessione veritiera: 1) il salmo responsoriale: “Ho creduto anche quando dicevo: “sono troppo infelice!” 2) è bello per noi stare qui! 3) “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?” (seconda lettura)
La trasfigurazione viene indicata dal testo greco come un verbo che potrebbe tradursi così: “fu metamorfizzato” (metemorfothe).
In altri contesti questo verbo indica un combattimento interiore – che è quello che riguarda noi – (cof. Rm 12,2: [riferito durante il ritiro delle ceneri] e 2Cro 3,18). Ma per quanto riguarda Gesù, tale trasfigurazione è esterna, visibile; per quanto riguarda noi, deve essere spirituale che è ciò che esige il tempo quaresimale.
Il vangelo di Matteo dice che il suo volto brillò come il sole; Marco parla solo “delle vesti che divennero splendenti, bianchissime, tanto che “nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche”.
Si sa che nella trasfigurazione di Raffaello, questa luminosità è così evidente che lui non ha mai rivelato quali prodotti naturali abbia usato ed è morto portando il segreto con se nella tomba.
È bene riflettere sul “sigillo” posto dal Padre per dare credibilità alla Figliolanza di Gesù e alla sua missione. Lo stesso messaggio del Padre era stato inviato durante il battesimo di Gesù. E cosa devono fare sia gli apostoli che le comunità cristiane? Mettere in pratica quanto dice il Padre: “Ascoltatelo”
Sappiamo tutti il valore di questo verbo per il popolo di Israele e per noi: è un atteggiamento di ascolto che riguarda l’accoglienza della parola di Dio. E lo “Shemà” ci insegna che tale parola deve essere presente in tutta la persona in tutte le azioni che essa compie.
Il ritorno dal monte fino alla pianura è simbologia di quanto di straordinario abbiamo vissuto, per viverlo poi nel quotidiano. Tutta la vita spirituale è così: il Signore ci dà dei momenti di felicità e di consolazione e sono belli – ma questi ci servono perché nei momenti di dolore e desolazione possiamo ricordarci, senza scoraggiarci, delle cose che Lui ci ha fatto vivere.
Lo Spirito del nostro agire deve essere quello di vivere le cose ordinarie in modo straordinario e dare ad ogni nostra azione un’impronta interiore forte e significativa: come fosse la prima, l’ultima, l’unica della nostra vita.
Ci vogliono, nella nostra vita, le esperienze del Tabor, ma siamo consapevoli che la maggior parte delle nostre ore si usano nella normalità della nostra esistenza: che niente venga soffocato dall’abitudine perché è la principale causa della tiepidezza.
Qualsiasi parola, avvenimento, episodio della vita di Gesù non ha per Lui un effetto, un significato solo per sé, quasi contemplativo, ma per ognuno è anche operativo perché non resti legato, quasi fissato esclusivamente alla sua persona: è per noi.
È per questo che mi permetto di farvi contemplare questa trasformazione dipinta da Raffaello e che è nei musei vaticani. Raffaello, morto molto giovane, in quel periodo stava dando nei suoi dipinti una progressiva accentuazione quasi drammatica, soprattutto votato a voler coinvolgere in modo profondo e personale lo spettatore non solo perché percepisse la natura, il significato e il vigore del quadro, ma ne partecipasse intenzionalmente l’emozione.
Siccome alcuni temi (la resurrezione di Lazzaro) sono più adatti a questa profonda emozione e altri (come questo) meno, egli ha voluto aggiungere al tema della trasfigurazione ciò che Marco dice subito dopo (9,14) cioè la guarigione dell’indemoniato, quasi che questo fatto fosse immediata conseguenza della trasfigurazione divina.
Così si formano in uno stesso quadro due piani: quello in alto dove si distingue l’episodio in tutto il suo splendore divino e quello in basso, più “umano”, dove si nota la drammaticità dell’evento: la guarigione di un fanciullo indemoniato.
I due eventi – trasfigurazione e fanciullo indemoniato- di per sé non sono quasi uno la causa e l’altro l’effetto, ma Raffaello li ha resi tali per indicare, nel primo il potere ricevuto da Cristo è tale che può guarire perfino un ossesso.
E così nell’unità di spazio, tempo e azione, si presenta la guarigione come effetto della missione data dal Padre nei riguardi del Figlio con tutto il suo potere di arrivare a guarire gli indemoniati. Ma questa intuizione di Raffaello ci deve far capire che sempre è così: ciò che una volta è accaduto a Gesù, oggi accade per noi cristiani ad opera di Gesù.
Nel dipinto oltre la drammatizzazione del miracolo, c’è anche un voluto effetto ottico: la scena dell’ossesso si presta ad una attenzione sensibile immediata perché sembra quasi che il fatto stia accadendo ora, qui, per noi. La trasfigurazione invece viene contemplata, attirati nella quiete del cielo, dove lo spirito, più che l’occhio umano, sente l’attrazione per arrivare.
I personaggi intermedi cioè Pietro, Giacomo e Giovanni sono accecati dallo splendore di Cristo che secondo Marco vuole essere significativo per la sua futura resurrezione della quale ne restituisce un anticipo. Sappiamo che i due personaggi Mosè ed Elia, sono parte centrale della vecchia alleanza, e come tali, danno lode a Gesù con la loro presenza.
Lo splendore della persona di Gesù è una luce abbagliante che si riversa sia sui personaggi del vecchio testamento, sia sugli apostoli, e sia sulla Chiesa che nell’ossesso viene inondata dalla Grazia terapeutica che emana Gesù.
E loro, da protagonisti, ne pregustano già la realtà, vissuta magari per poco tempo ma importante per capire cosa ci aspetta nell’aldilà.
[1] Nello specifico l’uomo accoglie la donna, la donna accoglie l’uomo.