I Domenica di Avvento – Anno A
Meditazione sulle letture della domenica a cura di Don Franco Proietto, padre spirituale
ASCOLTIAMO LA PAROLA…
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 13,11-14a)
11E questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti. 12La notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. 13Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie. 14Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo.
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 24, 37-44)
37Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. 38Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, 39e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. 40Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. 41Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.
42Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. 43Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. 44Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.
Il tempo di Avvento ci interroga!
Ricordiamo anzitutto che con l’Avvento inizia un tempo forte. Inizia il periodo liturgico che ci prepara al Natale. Avvento significa appunto: attesa, aspettativa, preparazione, desiderio, speranza della venuta di Gesù. Ma noi, uomini del computer, dello smartphone, dell’aereo, delle auto, siamo capaci di attendere? E soprattutto: cosa attendiamo? Ci rendiamo conto di attendere il Signore che viene? Attendiamo davvero il Kairos? Cioè il momento opportuno per la nostra salvezza?
Il dono della notte
Se non attendiamo, non esercitiamo la pazienza, bruciamo le tappe per non perdere tempo, non preghiamo, non riflettiamo, non facciamo silenzio interiore, perché “non abbiamo tempo”; oppure lo bruciamo in superficialità e insignificanze, o ancora: “ammazziamo il tempo” per non fermarci a pensare. Accade anche a noi: finiti i propri impegni, quando dovremo entrare in noi stessi, usciamo fuori di noi, mente e cuore fuori, dove, con il nostro smartphone, potremmo incontrare un mondo sfilacciato, sparpagliato qua e là, in divertimento, in spensieratezze, forse in attività poco edificanti.
L’unico modo per utilizzare il dono della notte, che di per sé porta silenzio e riflessione, la disturbiamo per prolungare la giornata, prolunghiamo il giorno anche di notte, per vivere le distrazioni e gli svaghi. Eppure, l’esortazione di San Paolo è molto chiara: dobbiamo vigilare (cfr. anche 1Ts 5,48); mortificarci (1Cor 7, 29-30); compiere le opere della luce (Ef 5, 8-16) e fuggire quelle che si compiono quando ci sono le tenebre.
Rivestirsi di Cristo
D’altronde dobbiamo essere consapevoli che ogni ritorno di un evento legato alla liturgia non solo riaccende la “memoria” storica, ma riattualizza il fatto, rendendolo oggi utile e fruibile a quanti sono disponibili a riceverlo. Oggi, ora, noi siamo in attesa perché per noi Gesù ritornerà a nascere e a spargere le grazie secondo le necessità, certamente a buon mercato, ma non possiamo non viverle, mettendoci del nostro. E se il tempo della notte è finito, è perché c’è bisogno di compiere nuove opere buone, quelle da compiere alla luce del giorno, senza nascondere niente. Se fossimo ancora addormentati, rimarremmo immersi nello stordimento di chi ha prolungato la giornata per non perdere i divertimenti di essa; ora è tempo di svegliarsi. San Paolo è chiaro: «Non in mezzo a orge e ubriachezze, non tra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie. Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo».
È la frase che a suo tempo fece svegliare Sant’Agostino dall’addormentamento di una vita immersa nel peccato, e poi lo ha rivestito di Cristo.
Per quei tempi “rivestirsi di …” voleva dire “pensare e agire come…”.
Tempo di svegliarsi dal sonno spirituale
Forse anche noi siamo ancora immersi nel peccato, o al massimo abbiamo pochi spazi di lucidità, per comprendere che un modo di vivere così come ce l’abbiamo oggi, non è più possibile. È tempo di svegliarsi dal sonno e cominciare una nuova vita: quella della santità. Dio ci dona tutti i presupposti, ci dà tante occasioni, ci indica la strada e ci accompagna perfino nel cammino; però senza sostituirsi a noi.
Un peccato grave è come un trauma nell’organismo fisico, e ci fa capire la serietà della ferita. Ma il sonno spirituale, lo stordimento dato da una costante vita tiepida ci allontana inesorabilmente dal bene e ci conduce al male. Ci si lascia trascinare dalla corrente e senza accorgercene siamo portati al luogo del male, quando è quasi impossibile ritornare a vita. È successo.
“È ormai tempo di svegliarci dal sonno…”, e l’Avvento viene a proposito: «vegliate».
Non ti cullare nell’inerzia, scuotiti, lotta, combatti, perché la posta in gioco è alta. Il tempo tra la sua venuta in mezzo agli uomini e il suo ritorno è il tempo della grazia nell’attesa di un mondo migliore, non da contemplare, ma da cambiare, trasformare, rendendolo degno dei figli di Dio.
Le armi della luce
C’è un impegno ulteriore nei nostri confronti: la sobrietà non si tratta solo di mangiare qualcosa in meno, o di privarsi di qualche forchettata di pasta, ma soprattutto di fare digiuno di televisione, smartphone e discorsi futili o nocivi per gli altri. La chiarezza inizia con noi, dentro di noi, poi si espande verso la comunità. Se potessimo essere fedeli tutti al nostro cammino, il livello della vita verso la santità di tutta la comunità del seminario crescerebbe a dismisura.
Bella l’espressione di indossare le armi della luce, il contrasto con la vita delle tenebre è evidente, ma è piacevole pensare che le armi della luce non sono nocive contro ipotetici avversari, ma danno loro una visione di ciò che è lecito fare e di ciò che si deve evitare.
Ancora un’altra esortazione pratica che ci dà San Paolo: «Non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie», dobbiamo prendere di petto l’impegno per una purezza di cuore degna di chi si avvicina passo passo a donare il corpo di Cristo, dopo averlo “confezionato”.
È una prova che, se superata, è uno dei principali indici di vocazione; se non è superata ci dà dei severi avvertimenti già ora che riceviamo il corpo di Gesù, prima di donarlo.
Pensate che Lutero, commentando questo brano, non afferma direttamente l’argomento di cui si parla (cioè la castità), ma dice così: «I Santi Padri stabilirono che chi vuole stare al servizio di Dio, debba vincere innanzitutto il vizio della gola che, siccome è il primo è anche il più difficile». E aggiunge: «Il digiuno è una delle armi più potenti per il cristiano, mentre la gola è per il diavolo lo strumento più potente».
Probabilmente pensa a Evagrio Pontico che pone l’inizio dell’impurità nella gola.
Quanto ai litigi e gelosie, si esorta a vivere in pace con gli altri. I litigi avvengono al di fuori di noi, tra persona e persona, le gelosie sono dentro di noi, “covano” rivalità e sentimenti avversi per superare gli altri, quasi fossero persone in competizione con noi.
Vegliare per non farsi rubare dal ladro
Nel conflitto “naturale” tra la notte e il giorno, il Vangelo ci dice che il ladro viene di notte, quando cioè dormiamo e non immaginiamo nemmeno a quale ora potrebbe arrivare. La forza del ladro è proprio l’oscurità e la sorpresa. Gli “accorgimenti” per parare i colpi sono molteplici; evitiamo almeno il tepore e l’indifferenza verso le “armi” di difesa che ci indica l’Avvento: preghiera, digiuno, vigilanza, speranza, attesa, mettersi addosso le armi della luce. Siamo anche sicuri che le tenebre ritorneranno al tempo opportuno, ma egualmente siamo preparati ai colpi che potrà infierire. Anche perché c’è un occhio che resta aperto giorno e notte, che ci guarda e ci accompagna: è quello di Dio. E c’è un orecchio che sempre ci ascolta: è Dio! (antica liturgia bizantina).