Giona: racconto di una Chiamata (parte 2)
Giona, dunque, dopo aver toccato il fondo, si ravvede, e il Signore di nuovo gli parla. «Alzati, va’ a Ninive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico» (3, 2): l’invito è riproposto a Giona negli stessi termini in cui già la prima volta gli è stato rivolto; ma se prima esso è stato disatteso, ora Giona lo accoglie. Egli passa dall’agire in contrapposizione al comando ricevuto da Dio («Giona, invece, si mise in cammino per fuggire» 1, 3) all’agire in conformità alla volontà di Dio («secondo la parola del Signore» 3, 3). Dopo aver prima deviato ed essere andato incontro all’inevitabile fallimento dei progetti solo umani, l’uomo si rende conto che deve far entrare Dio nella propria vita, lasciandosi scombinare i piani dalla sua Parola. L’uomo è veramente felice solo se cammina con fiducia davanti agli occhi di Colui che da sempre lo ha pensato e voluto felice. Camminare secondo la parola di Dio suppone l’ascolto della sua chiamata e l’impegno generoso, per quanto fragile, nella risposta: l’uomo che comprende di essere chiamato da Dio non può far a meno di sentirne tutta la responsabilità, tuttavia non ne rimane schiacciato, perché riconosce in Dio non il fermo rigore di chi esige ma la benevola accoglienza di chi sa aspettare.
E ancora una volta Dio deve aspettare la risposta di Giona. Se, infatti, pare aver preso la strada giusta ed ha anche cominciato a realizzare la sua missione («cominciò a percorrere la città per un giorno di cammino e predicava: “Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta”» 3, 4), tuttavia la sua adesione alla volontà di Dio ancora non è piena. Quando comincia a vedere che qualcosa non va secondo le sue aspettative si ferma. Ciò che Giona non riesce ad accettare è l’eccedenza della misericordia di Dio rispetto ai suoi criteri di giustizia. Egli va a predicare ai Niniviti, ma in fondo si aspetta che essi vengano puniti per la loro malvagità; da un punto di vista umano, essi riceverebbero così ciò che hanno meritato, ma Dio supera queste considerazioni umane e spiazza Giona con la generosità del suo perdono.
Ecco che Giona, allora, si ostina: le cose non sono andate secondo la sua volontà e decide di uscire. È questo, in fondo, l’atteggiamento infantile di chi si impunta quando non si vede esaudito in tutto; i bambini, quando non possono ottenere quello che vogliono o quando non riescono ad imporre le proprie regole, incaponiti sbattono i piedi e smettono di giocare. Così fa Giona: «provò grande dispiacere e fu sdegnato. Pregò il Signore: “Signore, non era forse questo che dicevo quand’ero nel mio paese? Per questo motivo mi affrettai a fuggire a Tarsis […] Or dunque, Signore, toglimi la vita, perché meglio è per me morire che vivere!” […] Giona allora uscì dalla città e sostò a oriente di essa. Si fece lì una capanna e vi si sedette dentro, all’ombra» (4, 1-5).
Il problema di Giona è che non riesce ad uscire dal suo angusto punto di vista, non riesce ad uscire da sé: la misericordia è giusta quando è applicata a lui, è invece incomprensibile e ingiusta quando sono altri a beneficiarne. Questo è il senso del “gioco” che Dio propone a Giona sul finire del libretto. È bello pensare allo sguardo benevolmente divertito di Dio che vede la sproporzionata reazione di Giona e gli chiede «Ti sembra giusto essere sdegnato così?» (4, 4). Dio prepara ad arte una situazione che, in piccolo, ricrea quella dei Niniviti, perché Giona possa comprendere l’operato divino quasi sperimentandone egli stesso, in prima persona, le ragioni profonde. Perciò, nel pieno dell’ira di Giona, Dio gli fa crescere accanto un albero di ricino, perché gli faccia ombra proprio nel luogo in cui ha deciso di “piantare la sua tenda”; poi però manda un verme a rodere la pianta, che subito dissecca e muore. Giona, allora, sdegnato e oppresso dal caldo, desidera morire. Ed ecco che Dio torna a rivolgergli la stessa domanda: «Ti sembra giusto essere sdegnato così per questa pianta di ricino?» (4, 9). Se Giona stesso ha avuto tanta pietà di quella pianta da sdegnarsi per il suo rapido disseccamento, non avrebbe dovuto Dio, a maggior ragione, avere pietà dei Niniviti (cfr. 4, 10-11)? Il libretto termina così, con questa rappresentazione della “giocosa” pedagogia di Dio; non sappiamo come Giona abbia poi reagito, l’agiografo tace su questo. La chiusa però è molto significativa: al termine della descrizione del cammino vocazionale di Giona, ci si sofferma a contemplare l’atteggiamento di Dio che non si stanca di guidarlo amorevolmente alla comprensione del suo misterioso amore. Così avviene anche per ciascuno di noi: camminiamo, deviamo, a volte scendiamo fino a toccare il fondo, altre volte vogliamo dettare noi le regole,… ma al di là di tutto questo, ci sentiamo sicuri solo se guidati da Dio, consapevoli che Colui che ci chiama è fedele (cfr. 1Ts 5, 24) e manterrà sempre la promessa del suo amore.