e-Du-Care: il debutto
di don Giovanni De Ciantis, vicerettore biennio filosofico
Di fronte ai molti compiti che il presente ci chiede e alle molte sfide che ci riserva il futuro, l’educazione ci appare come un mezzo prezioso e indispensabile che potrà consentirci di raggiungere i nostri ideali di pace, libertà e giustizia sociale, di rendere il mondo più umano (Cf. Rapporto Delors, 1997). L’educare (atto dell’educazione) è la “carta vincente” per promuovere uno sviluppo per quanto possibile organico, armonico ed autentico a tutti i livelli della vita personale, familiare e comunitaria.
Cosa è questa carta vincente? Che intendiamo con “educare”?Etimologicamente il termine può avere una doppia derivazione: dal verbo latino educĕre (cioè «trarre fuori, tirar fuori o “tirar fuori ciò che sta dentro”), derivante dall’unione di ē– (da, di, fuori) e dūcĕre (“condurre, trarre”); oppure dal verbo latino educare (nutrire, allevare). Nel primo caso l’educare è visto piuttosto come “opera maieutica”, cioè tirar fuori da dentro, suscitare, sviluppare le potenzialità, le capacità, le risorse soggettive che la persona ha nell’interazione con le risorse ambientali e nella rete delle relazioni interpersonali e sociali. Nel secondo caso, invece, educare è vista soprattutto come dare, meglio, donare alla persona quanto necessario per consentirle la vita, cioè la crescita, lo sviluppo e le funzioni e attività sue proprie.
Il titolo E-du-Care della nostra rubrica, vuole mettere insieme le funzioni su dette e integrarle con ulteriori aspetti per noi fondanti e fondamentali nel processo educativo:
- “E” sta per “multimedialità”, il “mondo della rete” concetti-chiave del nostro tempo (non a caso si parla spesso di digital revolution e di cultura digitale) che rappresentano uno dei “luoghi” ove le persone “vivono” e operano.
- “du” sta per ducere, verbo latino che significa condurre, trarre, attrarre, ma anche assorbire, prendere dentro di sé. In questa particella integriamo l’educare e il formare. Dal latino fōrmare, dare forma, lavorare, modellare fino alla forma voluta, ovvero l’immagine integrale, completa di un essere giunto alla sua perfezione e maturazione secondo la propria specie. Formare non va in contrapposizione con educare, ma è complementare, in quanto esso è il processo attraverso cui pervengono a maturazione le potenzialità soggettive; si consolidano e si strutturano le capacità personali native e sociali nell’interazione con l’ambiente e le sue concrete possibilità storico-culturali, materiali e spirituali attraverso la mediazione di figure e agenzie educative; si apprende ciò di cui si è carenti per vivere la vita in modo umanamente degno svolgendo i ruoli che socialmente si scelgono di compiere o vengono attribuiti; un processo di interazione e di riequilibrazione dinamica nel tempo, nelle diverse fasi evolutive e nelle diverse situazioni di vita (cf. Nanni, 2007).
In questo nostro modo di intendere ducere, risulta in maniera significativa il compito sia dell’educatore, cioè colui che è chiamato ad attrarre, condurre, tirar fuori, nutrire e formare, sia dell’educando, chiamato a tirar fuori le sue risorse, nutrirsi e essere soggetto-oggetto di formazione per giungere ad un processo di autoformazione per tutta la vita.
- “Care” vuol dire letteralmente, dalla sua origine inglese, “Mi importa, ho a cuore” e anche “mi prendo cura”. “I care” è la scritta che don Lorenzo Milani ha voluto mettere in grande su una parete della sua scuola, ed è anche l’urlo che tanti giovani lanciano ancora oggi durante i Campi educativi nei luoghi di Barbiana. “Care” è quanto, in questo significato, anche noi vogliamo sottolineare nell’arte educativa. Così diventa “Io ci sono” nell’educazione, il nostro esserci, l’esserci nelle situazioni concrete della vita: in famiglia, nel gruppo degli amici, nello studio o nel lavoro. È l’esserci per le persone e per i volti che incontriamo ogni giorno e che passano, a volte senza nemmeno che ce ne rendiamo conto, nella nostra vita. Care sottolinea la relazione: “ti ho a cuore, mi interesso e mi prendo cura di te”. L’avere attenzione e interesse al mondo degli altri richiede l’abilità di non essere centrati su se stessi (significa rendersi conto di che cosa fa, sente e vuole l’altro) insieme a quella di autoregolare e organizzare i propri comportamenti, e riguarda i sentimenti, la partecipazione alle emozioni altrui (empatia), la compassione (Miceli, 2015).
Il fine, lo scopo, l’obiettivo, la risultante di tale processo di E-du-Care vorrebbe essere la costruzione di una personalità umanamente capace, nella condizione storica attuale, di essere consapevole, libera e responsabile per decidersi e trovare il senso della propria vita sentendosi intima, autonoma e realizzata.
Per concludere, quanto diceva l’abile educatore Giovanni Bosco in una delle sue Lettere è valido anche per noi oggi: “Ricordatevi che l’educazione è cosa del cuore, e che Dio solo ne è padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegna l’arte, e non ce ne mette in mano le chiavi. Studiamoci di farci amare…”.