CUORI ARDENTI, PIEDI IN CAMMINO
67esimo Convegno missionario nazionale dei Seminaristi
Si è tenuto a Loreto, presso il Santuario della Santa Casa, dal 10 al 13 aprile 2024, il 67° Convegno missionario nazionale dei Seminaristi dal titolo «Cuori ardenti, piedi in cammino», organizzato da Missio consacrati. Questa basilica conserva al suo interno, come in uno scrigno, una casa semplice ma preziosissima, perché è tra queste mura che Dio ha scelto di far incarnare il Figlio. È qui che Maria è diventata dimora, avendo il coraggio di un’accoglienza totale, capace di far spazio al Verbo. Sotto lo sguardo di Maria, i seminaristi dei Seminari maggiori d’Italia accompagnati da diversi padri missionari hanno camminato un tratto di strada insieme, imparando a far propria quella fiducia piena e generosa, necessaria affinché anche nelle nostre vite «l’amore trovi casa». L’incontro con altri seminaristi da tutta Italia è stata un’esperienza molto ricca: condividere i passi del proprio cammino vocazionale con altri giovani che vivono la stessa chiamata ci ha fatto sperimentare la dimensione dei chiamati in cammino tutti verso Gesù. La presenza di seminaristi provenienti dall’Asia, dall’Africa, dal Sud America ci ha permesso anche il preziosissimo incontro con culture diverse, ampliando i confini dello scambio anche al di fuori del nostro Paese. Anche questa è stata un’esperienza missionaria.
Come, allora, avviene che un «cuore ardente» si spinga verso la missione? Suor Chiara Cavazza, psicoterapeuta, appartenente alla congregazione delle Francescane dell’Immacolata di Palagano, è partita dai sentimenti di Gesù. Nonostante la loro natura, i sentimenti di Gesù non sembrano provenire in nessuna circostanza da una dimensione oracolare e inaccessibile, ma scaturiscono con naturalezza dal vissuto, di cui le scene evangeliche forniscono quadri di notevole realismo. Nei vangeli i sentimenti non sono mai puro oggetto descrittivo, ma comunicazione intensa e personale. Siamo spesso analfabeti del nostro cuore, non riuscendo a riconoscere tutto quello che si smuove dentro. Forse si dice solamente di essere felice o triste, al limite si aggiunge di essere arrabbiato o contento. Che bello riscoprire che il cuore dell’uomo è il riflesso del cuore di Dio. Se si riprende Gaudium et Spes 16 (e sostituendo a coscienza la parola cuore) si può notare come la descrizione non è con termini razionali (intelletto) o morali (volontà), bensì di sentimento (affetto). La voce di Dio entra nella nostra intimità: Dio si rivela in pensieri, parole, gesti, sentimenti, desideri e la coscienza (il cuore) è questo luogo di intimità. Il nostro cuore è il luogo in cui sperimentiamo l’appartenenza a due mondi: il mondo dei limiti (piccolo cuore), della contingenza, della realtà che è la condizione di esistenza delle cose, i cui limiti sono la condizione per poter esistere; il mondo dei desideri (grande cuore), degli ideali, dei valori: capaci di andare oltre i limiti. Il nostro cuore si muove tra chi sono adesso (piccolo cuore) e tra chi desidero essere (grande cuore). Se ci fermassimo solo al mondo dei limiti rischieremmo di rimanere al nostro ombelico (è il pericolo dello psicologismo) con soluzioni solo dentro la realtà concreta; se l’attenzione fosse posta solamente sui grandi ideali si incorrerebbe nel rischio di derive spiritualistiche (spiritualismo).
Il nostro cuore si muove così tra la dimensione di apertura (cuore grande) che ci fa andare oltre noi stessi aprendoci al vero, al bello, agli altri e verso l’Altro e la dimensione di chiusura (cuore piccolo) che ci protegge da ciò che avvertiamo come minaccioso, ci porta a tutelare i nostri bisogni e i nostri interessi primari, ci mette al riparo. Attenzione a considerare il cuore piccolo come cattivo e il grande come buono. Come rispondere allora alla missione? Con tutto il cuore, con un cuore dinamizzato dai due poli (cuore piccolo e grande), in una relazione dialettica che mai si placa ma che fornisce energia progressiva. C’è così una sana tensione di crescita che esprime tutta la nostra umanità, anche nella nostra affettuosità. Quando c’è questa sensibilità cordiale, un pensare affettuoso allora ci sarà una testimonianza ardente.
Don Gianni Giacomelli, monaco camaldolese del monastero di Fonte Avellana ha esordito – nel descrivere l’essenzialità della dimensione missionaria – con questa frase: «Una comunità è credibile solo se è missionaria, altrimenti non è comunità». I piedi in cammino arrivano alla fine del racconto, dopo i cuori ardenti che diventano tali solo con l’ascolto delle Scritture. Un cuore ardente si costruisce, non si improvvisa: ci vuole un lavoro per costruirlo. È indispensabile un cambio di sguardo, attraverso l’interpretazione della propria vita con l’ascolto, il discernimento e l’ermeneutica della Scrittura. Non possiamo fare nulla come credenti, discepoli, comunità, come Chiesa, senza la Scrittura. Senza la Parola, quindi, non c’è ardore del cuore, né piedi in cammino. Ma la vicenda dei discepoli di Emmaus insegna che i cammini ministeriali, prima di nascere da un cuore ardente, nascono dalle sconfitte e dalla capacità di trasformarle in opere di salvezza. I discepoli delusi, infatti, tornavano verso Emmaus e cercavano di spiegarsi l’un l’altro cosa era successo, senza riuscire a trovare il senso di ciò che era accaduto. Perché? Perché per trasformarsi da discepoli a missionari è necessario un cambiamento di sguardo. Quando si è in cammino, quando si è mandati, inviati, la prima domanda da farsi non è dove devo andare, ma chi sono io? Proprio come ha fatto Mosè di fronte al roveto ardente, quando Dio gli ha risposto: «Io sono con te». L’uomo, quindi, è colui con cui Dio sta. E questa consapevolezza è indispensabile per mettersi in cammino. Gesù lo ricorda esplicitamente ai discepoli di Emmaus. Ciò significa che Dio ti manda non per le tue capacità, ma per la capacità che hai di trasformare la tua debolezza in forza. Per essere missionario, quindi, occorre sapere chi sono, quali sono le mie debolezze e sconfitte, cosa mi dice la Parola. Occorre lasciarsi accompagnare da Dio. D’altronde, il primo atto dell’evangelizzazione è l’ascolto, come scrive anche papa Francesco nell’Evangelii Gaudium. È fondamentale educare, in termini missionari, il seminarista ad ascoltare, perché in primis non si va a portare Gesù, ma a riconoscerlo dove già opera, dove già sta.
Cosa ci portiamo in Seminario per vivere la missionarietà della Chiesa? La consapevolezza che la missione comincia dall’ascolto che non è un perdere tempo, ma è fondamentale per creare stile di fraternità, senza pregiudizi. Non è tanto scegliere se fare od essere missione ma starci: uno stare con Gesù e in mezzo alla gente con testa, cuore, mani e piedi, con semplicità e senza vergogna dei propri limiti. Infine, missione è aiutare le comunità a riscoprire la propria vocazione di discepoli missionari.
Adriano Marrocco e Paolo Larin