Ascensione del Signore – Anno A
Meditazione sulle letture della Domenica a cura di Don Franco Proietto, padre spirituale
ASCOLTIAMO LA PAROLA
Dagli Atti degli Apostoli (1,9-11)
Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”.
Dal Vangelo secondo Matteo (28,16-20)
Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
La presenza di Cristo dopo l’Ascensione
Di per sé, il Vangelo di oggi non parla dell’Ascensione; ne parlano invece gli Atti degli Apostoli, di cui abbiamo indicato il riferimento. Gesù se ne ritorna al Cielo da dove era sceso per farsi uomo. Viene giustamente glorificato perché ha compiuto in tutto, senza doversi rimproverare niente, quello che gli aveva affidato il Padre (una similitudine ci è data da santa Monica che aveva ormai compiuto la missione di convertire suo figlio e poteva anche morire, come di fatto è avvenuto). In quanto Capo del corpo che è la Chiesa, Lui nell’Ascensione è esemplare di tutti noi che saremo trascinati là dove ci ha preceduti. Dove è Lui saremo noi perché dove è il Capo saranno le sue membra.
Ma non è, la sua, una partenza definitiva e totale: e non lascia solo le tracce della sua venuta, ma sé stesso, nell’Eucaristia, che prolungherà in ogni angolo della terra la sua presenza. E poi, al posto suo, ci sarà il Paraclito, l’avvocato che ci parla accanto per suggerirci la forza del suo messaggio e sostituirà nel nostro cuore la sua voce che fa gridare anche «Abbà, Padre». Continuerà a parlarci attraverso il libro dove sono riportati i suoi insegnamenti e i fatti compiuti per il bene delle persone.
La nostra responsabilità diventa testimonianza
E dà a noi la responsabilità di continuare a fare quel che Lui ha fatto, perché ognuno di noi, membro della Chiesa, nella sua persona, farà rivivere la Sua persona di cui deve essere una fotocopia (Kierkegaard). Quello, infatti, che aveva promesso quando aveva detto «non vi lascerò orfani…» (Gv 14,18) lo mantiene, non ci ha traditi. Ma sa anche che noi possiamo contare ancora su di Lui. Ma Lui stesso dà a noi una responsabilità tale da poter contare su di noi. E ci esorta fortemente a portare a termine i nostri impegni
Di fatti lo aveva detto: «perché state a guardare in cielo?». Ormai c’è un netto distacco tra noi e Lui: Lui è Dio e il ritorno in seno al Padre è il sigillo che autentica il compimento della sua missione. Ma ha tanta fiducia in noi da lasciarci gli impegni da portare a termine il compito iniziato: la salvezza dell’umanità. Ed è pur vero che noi possiamo guardare in Cielo con la nostalgia di vederlo ritornare: la nostra vita è qui, sulla terra, dove, anche a suo nome, continueremo a svolgere la nostra missione. Qui
come Lui ha detto: «mi sarete testimoni fino ai confini della terra». Ecco il punto: qui dobbiamo essere suoi testimoni. Tocca a noi essere in mezzo al mondo, uomini cristiani tra gli uomini pagani o indifferenti, essere prima cercatori, poi testimoni dell’Invisibile, di Colui che è salito al Cielo.
Tensione al cielo
È proprio del cristiano questa tensione tra Cielo, dove dobbiamo volgere lo sguardo, e la terra, dove con i piedi ben piantati, condividiamo le speranze e le delusioni dell’umanità, le attese di quanto quotidianamente compiamo con responsabilità. Quando Manzoni parla del Cardinale Federico Borromeo dice che «Egli era consapevole che la vita non è già destinata ad essere un peso per molti e una festa per pochi, ma per tutti un impegno (mi dici un impiego) del quale ognuno renderà conto». Se conoscessimo “esistenzialmente” tutta la portata di questa fiducia incondizionata di Gesù nei nostri confronti, prenderemmo più sul serio questa nostra missione qui sulla terra e anche con più entusiasmo consapevoli che siamo stati chiamati a fare ciò che lui ha fatto: trasformare l’umanità e renderla da pecore sbandate e senza pastore a credenti, figli di Dio, che è un suo dono e ciò che ci dà dignità. Né possiamo disattendere questo nostro impegno, perché se non lo facessimo, nessuno ci potrebbe
sostituire. Per capire a fondo questa verità, rileggiamoci la bellezza di quanto dice san Paolo riguardo al “corpo mistico di Cristo”, verità profonda, bella, ma anche impegnativa proprio perché esclusiva.
La missione che il Signore ci affida
Se nel momento storico in cui noi viviamo e agiamo in quel ruolo unico e non scambiabile che è la nostra collocazione nel corpo di Cristo, non facciamo pienamente il nostro dovere, nessuno può sostituirci e la nostra assenza crea il vuoto incolmabile e tutto l’organismo globale della comunità ne viene a soffrire: questa è la nostra più bella dignità ma è anche la più tremenda responsabilità. Nessuno, in questo contesto, può vivere da spettatore, ma ognuno è attore protagonista, sia del bene che del male che compie e che poi si riversa nella comunità tutta intera. Credo di aver già riferito a questo proposito quanto ha scritto don Primo Mazzolari: «ci impegniamo noi e non gli altri. Ci impegniamo senza giudicare chi non si impegna, senza cercare perché non si impegna, senza disimpegnarsi, perché altri non si impegna. Ci impegniamo perché
non potremmo non impegnarci. C’è qualcosa più forte di noi stessi. Ci impegniamo per trovare un senso alla nostra vita. Ci interessa perderci per qualcosa e per qualcuno».
Ma per ottemperare a questa nostra missione dobbiamo avere la consapevolezza di non essere soli. Quel “potere” che Lui aveva lo abbiamo ereditato noi: «andate dunque…». Ecco è l’ora di andare, di lasciare il posto che occupiamo per prendere l’avventura. Dove? Dove dice Lui: in missione. Tutto il mondo è aperto al nostro cuore almeno come desiderio e impegno. Però sarà un luogo particolare a rappresentare tutto il mondo a cui vorremmo portare la Parola di Dio, consapevoli che per un cristiano «ogni patria è una terra straniera e ogni terra straniera è la sua patria» (Lettera a Diogneto) adattando il nostro spirito alla cultura e alle persone dove il Signore
ci manda.
I passi della missione
Dobbiamo per questo essere consapevoli di Chi ci invia, a Chi dobbiamo rendere conto, con la sua stessa autorevolezza, quando predichiamo il Vangelo – che per questo non è nostro, ma suo, e non possiamo gestirlo come fosse nostra proprietà: siamo semplici amministratori delle cose di Dio, esecutori del suo mandato. È certo però che ci è stato dato un potere: «fascinans et tremendum» (Rudolf Otto) di cui siamo responsabili.
Dobbiamo prima di tutto “ammaestrare” (in greco μαθητεύσατε) tutte le genti, senza esclusione di alcuno. La Parola di Dio, le possibilità del messaggio, devono essere rivolte a tutti: ogni persona deve essere posta nelle condizioni di confrontarsi con le proposte evangeliche. Sono loro a decidere se accettarle o rifiutarle, non noi a fare delle selezioni: «Tu si… tu no!». Dopo la proposta “catechetica” si dà il Battesimo. Non si può sacramentalizzare ogni persona senza aver dato l’istruzione adeguata e la consapevolezza del dono ricevuto. Il Battesimo viene dato a nome della Trinità e ci rende abitazione di essa. Questa è la dignità del cristiano: “nel nome di” implica una relazione personale con la Trinità. «Insegnando loro» (in gr. διδάσκοντες) è l’insegnamento che arriva prima alla ragione e poi al cuore, anzi alla vita concreta.
Con noi fino alla fine
«Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo», non poteva terminare meglio di così la bellezza di tutto il Vangelo. Lui aveva assicurato: «Non vi lascerò orfani», oggi garantisce: la mia presenza in mezzo a voi è sicura. Questo dono è per tutti i giorni, cioè sempre, ogni qual volta ne abbiamo bisogno. Giovanni promette la presenza dello Spirito Santo nella vita dei seguaci di Gesù, Matteo promette una presenza di Cristo continuamente. Davvero possiamo esclamare: «se Gesù è con noi, chi sarà contro di noi?». Questa continua presenza di Gesù non è virtuale o solo di conforto spirituale e morale, ma è vera, reale: Lui davvero abita la terra, in modalità diversa da allora, ma sempre realmente in mezzo a noi. Questa certezza avevano i primi cristiani consapevoli della vita di Gesù che era accanto a loro, e che camminava con loro, condividendone le varie espressioni esistenziali. E sapevano che la sua presenza era viva soprattutto nei poveri e negli emarginati, dopo che lo avevano adorato nell’Eucaristia.
Forse a noi manca proprio questa convinzione profonda. Per questo appena viene una circostanza negativa (per es. il Covid) le prime cose che abbandoniamo sono quelle che riguardano la fede. E poi, lentamente, scivoliamo nell’indifferenza religiosa. Se viviamo “l’assurdo” insegnamento dell’Ascensione, che cioè Lui non è lontano, nel cielo, ma vicino qui sulla terra, lo incontreremo in ogni uomo, in ogni momento, come uno di noi.