IN PREPARAZIONE A SAN FRANCESCO SAVERIO
Testimonianza di don Quintilio Bonapace
Giovedì 30 novembre 2023 è venuto in visita presso il Pontificio Collegio Leoniano di Anagni don Quintilio Bonapace, sacerdote diocesano in Sabina-Poggio Mirteto. Nato a Poggio Mirteto (RI) il 19/12/1957, ha intrapreso il percorso formativo in un Seminario spagnolo. È stato ordinato il 07/01/1996 ed è stato inviato per un periodo in missione in Messico. È stato invitato per l’adorazione eucaristica in preparazione alla memoria liturgica di san Francesco Saverio. La sua condivisione può proprio partire dall’avvertimento di Nostro Signore contenuto nel Vangelo rivolto a Francesco Saverio da Ignazio di Loyola: «Saverio, che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la sua anima?» (Mt 16,26). Come per il patrono delle missioni, così anche per don Quintilio può essere stata rivolta questa massima: «Pensaci bene, il mondo è un padrone che promette e che non mantiene la parola. E anche se mantenesse le sue promesse nei tuoi confronti, non potrebbe mai appagare il tuo cuore. Ma supponiamo che lo appagasse, quanto tempo durerà la tua felicità? In ogni caso, potrà forse durare più della tua vita? E alla morte, che cosa porterai con te nell’eternità? Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la sua anima?».
Come è iniziata la sua missione?
In realtà – ha confidato don Quintilio – non è iniziata subito come una missione, quella vissuta in Messico. Faceva parte di una nuova forma di vita consacrata di san Francesco Saverio. C’era tutto un progetto di studio della Bibbia a Gerusalemme. Come santa Teresina, anche lui avrebbe voluto imparare a leggere le Scritture nella lingua originale. Gli sarebbe tanto piaciuto. Ma poi il Signore – facendo una rilettura della vita trascorsa – ha disposto diversamente. Il suo Superiore fu invitato in Messico per degli esercizi spirituali da predicare a delle sorelle clarisse. Anche lui ci andò e questa fu l’occasione per conoscere una nuova realtà. Stava al penultimo anno di formazione in Seminario.
Il Vescovo della Diocesi del Messico gli propose di restare lì, ma questo avrebbe comportato la rinuncia al sogno dello studio delle Sacre Scritture a Gerusalemme.
Qui è iniziato quel cuore ardente. Il pensiero del Messico non lo aveva lasciato più in pace. «Perché no?». L’idea dell’andare in Messico è continuata a rodergli dentro. Ecco allora la missione in Messico per circa diciassette anni! Si viveva veramente in maniera rudimentale, tanto nella forma di povertà fisica, quanto nelle infrastrutture, tanto nella povertà morale. Un conto è visitare da turista, altro conto è vivere in una casa dove non c’era il pavimento. Inoltre, non conosceva le chiavi interpretative per entrare nella società messicana che ha forme di comunicazioni diverse da quella italiana. I messicani non gesticolano, non parlano a voce alta! Sono persone talmente timorose di offendere l’altro.
Che missionario è stato?
Inizialmente non è stato prettamente missionario, inteso nella forma ad gentes. C’era una cappellania. Cosa fare in un deserto, senza luce, senza infrastrutture? Con solo fichi d’India! Poi anche sporco, la plastica per strada. Non trovava il senso della sua presenza lì. A poco a poco, con l’annuncio della Parola di Dio, le persone si entusiasmavano. Alcune ragazze manifestarono il desiderio di entrare in comunità; come anche un ragazzo il desiderio di intraprendere la via del sacerdozio ministeriale. Un fatto decisivo fu l’incontro con Sara. Lei conosceva dei bambini abbandonati, maltrattati. È con loro che è iniziata la missione in senso stretto. C’era un bambino di sei anni, sporco, senza denti ma con un sorriso smagliantissimo. Raccontò dell’abbandono dei genitori, del rapimento da parte di un amico di famiglia che poi lo maltrattava. Lo aveva messo come guardiano di un signore che vendeva pneumatici e spacciava droga. Era sfruttato come sentinella per avvisare l’arrivo delle forze di vigilanza. Finalmente il bambino riuscì a scappare e ad incontrare don Quintilio. Era stato forse attratto dal suono della chitarra durante quegli incontri di preghiera per approfondire la Parola. Gli assistenti sociali glielo affidarono e da lì iniziò l’opera di costruzione di una casa-famiglia per anche altri bambini, con la collaborazione anche del resto del paese. La casa si riempì di ragazzini.
Occhi aperti. Aveva ora chiaro il senso della sua missione in Messico. «Ogni uomo ha il diritto di sentirsi annunciare la gioia del Vangelo». È quello che ha cercato di fare: donare una vita piena della gioia del Signore Gesù. Fino a quando, successivamente, ci fu una telefonato da parte della famiglia per un fratello morto all’improvviso. Sua madre, in Italia, era anziana e sola. Che fare? Come mettere la madre in una casa di riposo e sentirsi missionario? La missione è più ampia – ha sottolineato don Quintilio – è uscire da sé stessi per portare il Vangelo alle persone bisognose. Sperimentato il Cristo che si pane spezzato, che entra in ognuno, si avverte la missione di essere pane spezzato per gli altri. La comunità era avviata, la casa in Messico funzionava. Adesso la missione doveva continuare vicino a sua madre. In quel momento era lei bisognosa dell’annuncio della gioia del Vangelo. Il prossimo più bisognoso era sua madre.
Piedi in cammino: in accordo del Superiore della comunità, don Quintilio si incardinò nella Chiesa diocesana di Sabina-Poggio Mirteto. È iniziato un altro tipo di missione. In Messico era difficile vivere a livello di sopravvivenza. Ma la gente ascoltava volentieri il Vangelo di Cristo. La celebrazione del Messa arrivava addirittura con cinquecento bambini! Impressionante! C’è apertura al Trascendente incredibile. E poi appassionati della Parola di Dio. La leggono, approfondiscono. Un amore per le cose di Dio! In Italia, invece, occorre una nuova evangelizzazione per metodi, nell’ardore. Lo si avverte ogni giorno di più. Se da una parte il cuore era dolente per aver lasciato la missione in Messico, qui in Italia non c’era meno da fare. La missione è andare oltre i propri limiti. Spingersi oltre, per amore di Gesù. Più in là dell’egoismo, del proprio peccato. Si va, sapendo di essere pane spezzato per gli altri. Come ricorda papa Francesco, «ogni uomo ha il diritto di ricevere la gioia del Vangelo» – come ricordato anche prima. La tristezza forse è peggiore della povertà materiale.
L’augurio che ci ha lasciato è ripreso dalla compatrona delle missioni, santa Teresa di Gesù bambino e del volto santo. Così si confidava con Gesù: «La Carità mi diede la chiave della mia vocazione. Capii che se la Chiesa aveva un corpo, composto da diverse membra, il più necessario, il più nobile di tutti non le mancava: capii che la Chiesa aveva un Cuore e che questo Cuore era acceso d’Amore. Capii che solo l’Amore faceva agire le membra della Chiesa: che se l’Amore si dovesse spegnere, gli Apostoli non annuncerebbero più il Vangelo, i Martiri rifiuterebbero di versare il loro sangue… Capii che l’Amore racchiudeva tutte le Vocazioni, che l’Amore era tutto, che abbracciava tutti i tempi e tutti i luoghi! Insomma… che è Eterno!… Allora, nell’eccesso della mia gioia delirante ho esclamato: O Gesù mio Amore…, la mia vocazione l’ho trovata finalmente! La mia vocazione è l’Amore!».
Questa condivisione ci ha riacceso il cuore ardente per Cristo Gesù, e davanti all’Eucaristia Lo abbiamo riconosciuto come pane spezzato per noi. Ora i nostri piedi sono in cammino. In cammino per donare una vita piena della gioia del Signore Gesù, come la vita che ha vissuto don Quintilio.
Il GAMis