A ritroso dall’arte alla croce
di Matteo Parente, seminarista del I filosofia
L’«insensata cura de’ mortali», come scrive il Sommo Poeta nel canto undecimo del Paradiso, riferendosi a quel rapporto biecamente utilitaristico con i beni creati, ricorrentemente denunciato dall’attuale magistero papale, è affrescata, in tutta la sua problematica esistenziale, nelle pagine di A ritroso, capolavoro di Karl Joris Huysmans.
L’opera, apparsa nel 1884 in modo dirompente in un panorama letterario monopolizzato dal Naturalismo, si concentra, come recensisce Oscar Wilde, nello studio psicologico di un giovane parigino, Des Esseintes, che, sazio e stanco delle «carezze sempre uguali» dell’edonismo borghese, decide di allontanarsi dal materialismo cittadino, in cui «tutto è sifilide»,convinto di poter riscoprire la bellezza della realtà tra egolatria, esiziale misticismo e morbosi deliri del concupiscibile, nella casa di Fontenauy-aux-Roses, raffinatissimo eremo del lusso. Le pagine di questo «romanzo senza intreccio», considerato il manifesto del Decadentismo, scorrono dense in un continuo succedersi di finissime considerazioni circa l’arte e le lettere, anche sacre, evocate al protagonistadal ricco simbolismo, per lo più cattolico, dell’ambiente domestico.
Sotto la logora patina dei marcescenti fasti, affiorano, tuttavia, in modo palpabile, i primi inconsci passi di una conversione inevitabile. Lo spleen baudeleriano s’apre alla progressiva realizzazione del carattere effimero di un’esistenza completamente impregnata del godimento inautentico delle creature fino a quell’avvertimento sgomento di trovarsi imbarcato «solo, nella notte, sotto un cielo che non rischiaran più i consolanti fari dell’antica speranza», che fece affermare a Barbey d’Aurevilly: «dopo un libro come questo, al suo autore non resta più che scegliere tra la bocca di una pistola e i piedi della croce».
Così è stato per Karl Joris Huysmans, l’esteta decadente che si fece oblato benedettino, sedotto dalla sublime Bellezza del Cristo.