XXXI DOMENICA TEMPO ORDINARIO|B|
Dal Vangelo secondo Marco (12, 28-34.)
Allora si avvicinò a lui uno degli scribi che li aveva uditi discutere e, visto come aveva ben risposto a loro, gli domandò: “Qual è il primo di tutti i comandamenti?”. 29Gesù rispose: “Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; 30 amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. 31Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c’è altro comandamento più grande di questi”. 32Lo scriba gli disse: “Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; 33 amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici”. 34Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: “Non sei lontano dal regno di Dio”. E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.
Noi sappiamo che al tempo di Gesù c’era un catalogo di ben 613 precetti della legge e tra i rabbi c’erano dispute accese su quale di essi dovesse essere prioritario. Gesù pone il primo dei comandamenti nell’amore verso Dio secondo quanto dice il Deuteronomio al capitolo 6 e poi, contemporaneamente, aggiunge come secondo ciò che dice il Levitico al capitolo 19, nell’amore verso il prossimo.
Non sono questi al primo e al secondo posto in una classificazione d’importanza gerarchica, ma eccellono sugli altri in modo essenziale, di qualità, secondo quanto afferma Ignazio di Loyola nel n°23 degli Esercizi Spirituali: Dio è “principio” e “fondamento”, cioè è la base, o meglio la radice, di ogni esperienza religiosa e morale. Come “principio” è la fonte da dove scaturisce radicalmente ogni valore, ogni virtù, ogni verità; è fondamentale perché è la struttura portante dell’intero edificio spirituale.
La prova concreta dell’amore a Dio è data dall’amore al prossimo, secondo quanto afferma S. Giovanni (1Gv 4,20): ‹‹se uno dice: “amo Dio” e odia suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede››.
Non possiamo separare l’amore orizzontale dei fratelli, dalla dimensione verticale, che è l’amore di Dio. Anzi l’amore dei fratelli proviene dall’amore di Dio, ne è di fatto l’espressione concreta e tangibile.
Perché se la radice di amore è la stessa, l’espressione d’amore deve essere la stessa! Il cristiano ama Dio per sé ed ama i cristiani perché suoi figli e suoi fratelli di fede. Ma dove sta la rivoluzione sperata da Gesù tanto che questa espressione si identifica tout-court con il Cristianesimo stesso? Nel fatto che il cuore del “precetto” dato da Gesù non è un’azione particolare, fosse pure, religiosamente parlando, eroica o mistica, non è un’osservanza precettistica, né una preghiera fervorosa, ma è un modus vivendi, uno stile di vita, un atteggiamento abituale, strutturalmente, continuamente, tanto da farne un’identità: quello è cristiano perché ama.
“Non sono gli olocausti e i sacrifici” espressione dell’amore a Dio, ma è l’amore verso Dio e contemporaneamente, quello dimostrato in concreto al prossimo che rende un cristiano tale e visibile e credibile.
Capiamo dunque che questa espressione biblica va contro tutti i formalismi, le esteriorità, ma è qualcosa di così profondo, vitale, esistenziale, da includere “cuore, mente, forza”, Cioè tutto l’essere umano, sia nella sua interiorità che nella sua attività esteriore. Possiamo anche capire, in questo contesto, la frase di S. Agostino: ‹‹ama et fac quod vis›› (“ama e fa’ ciò che vuoi”), perché quando nella tua dimensione di persona esprimi a Dio e al prossimo tutto il dono di te come amore, non puoi volere altro che il bene di Dio e quello del fratello.
Cioè “l’essere” cristiano totale nell’amore verso Dio e verso il prossimo esprime un coinvolgimento delle sue principali espressioni esistenziali nelle fondamentali modalità umane che coinvolgono il cuore, il suo essere vitale (l’anima), il pensiero e anche l’azione: tutto!
Tale amore non ha limiti, parapetti, staccionate, ma è totale. Lo diceva con conoscenza appropriata S. Bernardo: «la misura dell’amore e quella di amare senza misura».
Ora ognuno di noi deve capire che queste sono belle parole, se non ci sono persone coraggiose che le mettono in pratica. Per essere più chiari la semplice filantropia (io amo il fratello perché un uomo), non basta.
Diceva un giornalista a Madre Teresa di Calcutta: ‹‹Madre, non è importante dire che lei ama il prossimo per Gesù. È sufficiente volergli bene perché è un uomo››. E Madre Teresa pazientemente rispondeva che questo non era possibile per due ragioni, (che poi sono una sola ragione):
- «Non sempre l’uomo mio fratello è meritevole della mia attenzione;
- Non sempre io ho la forza “umana” di amare il fratello, perché sono limitata e peccatrice.
Quando io vedo nel prossimo Gesù bisognoso e quando io penso di agire come avrebbe agito Gesù al posto mio, allora tutto mi è possibile››.
D’altra parte, Gesù ha amato come il Padre: tutti sono suoi figli; per Gesù ogni uomo è suo fratello. Ma la ragione principale e che la fonte, la radice, dell’amore verso Dio e verso il prossimo è la stessa che poi si dirama in due manifestazioni: Dio/prossimo. È lo stesso modello d’amore che è dato da Dio. Come Dio ama tutti senza distinzioni («non c’è più né uomo, né dona, né schiavo, né libero, né Greco, né Sciita») così il cristiano ama ogni suo prossimo per imitare Dio.
Quando noi spostiamo l’attenzione preponderatamene verso l’uno (il prossimo) o verso l’altro (Dio) dei poli, o addirittura in modo esclusivo, alteriamo il cristianesimo.
- Se accentuiamo l’attenzione verso l’uno, non solo potremmo cadere nella filantropia, ma addirittura degenerare in una attenzione per la persona “secolarizzando” le nostre motivazioni. Di conseguenza, come tali, possono perdere la loro forza propulsiva, perché l’uomo di per sé è limite.
- Se ci concentriamo solo o prevalentemente su Dio, potremmo cadere nell’intimismo, emarginando il prossimo e disattendendo in caso di necessità le sue esigenze. Viene ancora una volta a proposito la famosa frase di Dostoevskij: ‹‹tolto Dio tutto è permesso›› (si intende di negativo!).
Da questi formidabili principi, scaturisce – e i fatti storici, infiniti e rivoluzionari lo confermano – che il cristianesimo ha arricchito infinitamente il significato dell’esistenza antropologica della persona e ha trasformato la società grazie all’amore di Dio manifestato nel fratello fino a dare la vita per lui. Quando il cuore del cristiano invece si è lanciato per fare una scelta o per uno o per l’altro dei due valori, Dio o l’uomo, non ha amato il primo degnamente e non ha salvato l’altro integralmente.
Se nell’uomo è presente tutta la divinità, ogni seguace di Gesù deve rispettare questa sapendo che in qualsiasi persona c’è Dio.
La frase evangelica: ‹‹qualunque cosa avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avete fatta a me›› riflette bene quale deve essere il comportamento abituale di ogni credente verso il prossimo: là, in lui, c’è Dio e questo esige rispetto, amore, perdono. Se il cristiano non utilizza questa “marcia in più” che ha come credente, potrebbe vivere come gli altri uomini, da mediocre, da meschino, da egoista. Se invece, in unione costante e profonda con il Signore, si rende conto di quanta ricchezza sia ricolmo, quanto Dio viva in lui, non ha paura di superare tutte le avversità della vita per amare il proprio fratello quando lo merita e quando non lo merita. Nella società come quella di oggi in cui i poveri, gli scarti dell’umanità non contano niente perché non producono, la dignità di persona è data proprio dal fatto che ognuno è figlio di Dio. Ci riferiamo a S. Giovanni (1Gv 3,1) che ci onora quando dice: ‹‹Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!››.
Chiedo scusa se mi ripeto, ma è importante sottolineare questo aspetto: il cristiano deve amare il prossimo, perché come uomo tra gli uomini, è soggetto alla stessa avventura della vita che hanno i fratelli umani.
Però lo fa con l’occhio di Dio, con l’amore di Dio immerso nel mondo umano. La condivisione solo “umana” è circoscritta e limitata; quella con Dio dilata i confini e rende l’uomo – colui che dà e colui che riceve – “divino”.
Così noi abbiamo i piedi per terra, siamo i figli del tempo – ma questo non basta – la nostra tensione è verso l’eternità – «non abbiamo una cittadinanza stabile ma cerchiamo le cose future» – l’amore di Dio è la tensione verso le cose future – la ricerca del suo volto eterno è la spinta che Lui ha imposto al cuore dell’uomo. Già: ‹‹siamo fatti per te Signore e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te››.
Amando Dio, non togliamo niente all’uomo; amando l’uomo con lo stile, l’occhio e il cuore di Dio, rendiamo unico l’uomo e abbiamo la sicurezza che non lo tradiremo mai, né lo lasceremo in balia di sé stesso.
Riflessione di don Franco Proietto