XXXIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno C
Seconda lettera di S. Paolo apostolo ai Tessalonicesi (2Ts 3, 7-12)
Fratelli, sapete in che modo dovete prenderci a modello: noi infatti non siamo rimasti oziosi in mezzo a voi, né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato duramente, notte e giorno, per non essere di peso ad alcuno di voi.
Non che non ne avessimo diritto, ma per darci a voi come modello da imitare. E infatti quando eravamo presso di voi, vi abbiamo sempre dato questa regola: chi non vuole lavorare, neppure mangi.
Sentiamo infatti che alcuni fra voi vivono una vita disordinata, senza fare nulla e sempre in agitazione. A questi tali, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, ordiniamo di guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità.
Scegliamo questa lettera perché è esemplare per farci capire come dobbiamo comportarci nell’attesa – che allora ritenevano imminente – del ritorno del Signore.
Alcuni, in buona o in mala fede, sono convinti che quanto prima il Signore Gesù ritornerà, diciamo pure, per fare i conti con gli uomini. Così hanno ritenuto opportuno di non vivere più i loro impegni quotidiani, anzi passano il tempo nel disordine (3,6), abbandonano il proprio lavoro e le loro responsabilità (3,11) e si comportano da parassiti.
Paolo ribadisce, seguendo la concezione dell’apocalittica ebraica, che la venuta del Signore sarà preceduta da alcuni segni (cfr. Mc 13) e sovvertimenti, abominio della desolazione, tribolazione “quale non è mai stata dall’inizio della creazione”, ci saranno falsi profeti e segni e portenti per ingannare anche gli eletti.
Dunque in questo periodo tra la prima e la seconda venuta, cosciente che le prove e le disgrazie si sarebbero abbattute sui fedeli cristiani, bisogna comportarsi con senso di responsabilità: 1) correggendo quelli che si comportano in modo disordinato, indisciplinato; 2) aiutando coloro che sono nell’agitazione perché vivono come se la venuta del Signore fosse imminente – cosa non vera.
E da le ragioni di questo comportamento “responsabile”:
– Paolo esorta ad avere lui come esempio perché non si è comportato disordinatamente, non è stato mai ozioso tra di loro;
– non ha mangiato ad ufo il pane degli altri, ma “se lo è guadagnato” lavorando notte e giorno con fatica per non essere di peso ad alcuno”;
– questo nonostante che ne avesse diritto, ma perché fosse come esempio;
– da poi un principio insegnato quando era tra di loro Tessalonicesi, «chi non vuole lavorare neppure mangi».
Eppure, nonostante questa regola, a) alcuni vivono una vita disordinata, b) sono fannulloni, c) continuamente in agitazione. Si comportano cioè in modo opposto agli insegnamenti ricevuti da Paolo. Da qui l’esortazione finale: “A questi tali, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, ordiniamo di guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità”.
In sostanza, quelli che non si comportano come ha insegnato Paolo cercano di trovare evasioni alienanti con la scusa della venuta imminente di Gesù.
Penso che sia il tempo di applicare a noi:
la religione non è un alibi per non compiere fino in fondo il proprio dovere, non è davvero “l’oppio dei popoli”. Se così fosse intesa, tradiremmo il senso di responsabilità che ci deve accompagnare, come pure la nostra missione di essere collaboratori di Dio, qui, ora, sulla terra. Ognuno di noi ha un compito da portare a termine. È proprio fuor di luogo credere e vivere uno Spiritualismo che si esenta dallo “sporcarci le mani”. Paolo che aveva tutti i diritti per non lavorare, non si è valso di questo diritto, ma piuttosto ha lavorato gratuitamente per il bene della comunità a cui non è stato mai di aggravio.
Egli ci tiene a dire che non è stato di peso, per quanto riguarda il problema economico, di nessuna Chiesa (cfr. a tal proposito 1Ts 2,9; 1Cor 4,12; 2Cor 11,7-10; 12,13-18; At 20,33-35).
In sostanza si affretta la venuta del Regno di Dio non stando con le mani in mano, ma collaborando con Dio, prolungando con le proprie capacità l’opera del Signore che deve essere portata a termine da noi come suoi rappresentanti.
È molto interessante l’interpretazione che Buzzati fa della “Creazione” (è anche questo il titolo del racconto).
Dopo che il Signore ha creato cielo, terra, acqua e tutte le cose inanimate, poi, per portare a compimento la sua opera, si è servito di alcuni “architetti” celesti come collaboratori. E questi, con iniziative sbalorditive, hanno “inventato” i vari animali esistenti nel mondo, dall’ippopotamo al moscerino, con genialità e dedizione.
Riguardo all’uomo, creatura che certamente era la più pericolosa, stenta a dare “l’exequatur”, cioè il nulla osta, consapevole che questo gli avrebbe dato più di qualche guaio. Ma poi, nella sua infinita bontà, ne approva la progettualità e lo fa nascere.
L’uomo, che è immagine e somiglianza di Dio, riveli tutte le sue capacità lavorando.
Solo così 1) realizza se stesso; 2) è utile alla società; 3) mette in pratica il piano di Dio da completare.
Egli “faber” o “artifex sui ipsius fotunae” sia con il lavoro manuale che con lo studio; e, per essere attinenti al brano che stiamo considerando, il lavoro ha un valore soteriologico, come strumento di purificazione (“con il sudore della tua fronte…”) e di salvezza.