4. L’amicizia con il Signore
Tre sono gli elementi che vengono maggiormente sviluppati: la relazione con il Signore, l’Eucarestia e la vita sacramentale, la regola di vita.
Il testo riflette sul tema dell’amicizia con Gesù a partire da Gv 21, 16 («Simone, figlio di Giovanni, mi ami?»), evidenziando come essa sia il centro della vita del presbitero/seminarista: «dalla qualità di questa relazione personale, coltivata nel tempo, dipende tutto il resto».
Essa determina un vero cambiamento interiore per cui si assumono i sentimenti e lo sguardo di Gesù, «così da vedere persone, cose, eventi con i suoi occhi e il suo cuore, e riconoscerne l’azione nel mondo».
La crescita interiore, prima di essere frutto dello sforzo dell’uomo, è quindi opera di Cristo in noi, che attraverso la sua Parola e i sacramenti determina una vera conversione: «senza la conversione personale, restano inutili tutti i cambiamenti nelle strutture: la vera anima di ogni riforma sono gli uomini che ne fanno parte e la rendono possibile, rafforzando con la propria la conversione comunitaria».
L’amicizia con il Signore è evidentemente centrale per la vita di ogni discepolo; ecco allora che il testo dà dei consigli per far crescere questa amicizia.
Innanzitutto la preghiera: «è importante una frequentazione puntuale della Parola di Dio, in maniera orante e gratuita: il dialogo con il Signore rimane condizione per comprenderlo e amarlo, fino a vivere di Lui. Ne è fonte e culmine la celebrazione eucaristica, nella quale l’intera esistenza presbiterale è nascosta: il sacerdote vi trova il momento di massima comunione con Cristo».
L’Eucarestia è quindi il centro della vita del presbitero, da vivere in pienezza sia tra sacerdoti, in quanto rafforza la fraternità tra i membri del presbiterio (si fa riferimento alla concelebrazione nelle occasioni più significative), sia nella comunità in cui vive, per cui cerca di coinvolgere il maggior numero di persone, crea un clima di preghiera, non ne trascura il carattere sacro, è sollecito alla predicazione, favorisce l’adorazione, «in modo che la partecipazione a Cristo divenga effettiva».
Il sacerdote/seminarista non può tuttavia crescere nella vita spirituale da solo; ha bisogno di una guida spirituale (sebbene oggi vi siano poche figure esperte in questo ambito) e di ricorrere spesso al sacramento della Riconciliazione: «solo chi evita la tentazione farisaica di ritenersi spiritualmente a posto, può sperimentare il perdono di Dio e divenirne strumento: per essere buoni confessori occorre riconoscersi buoni penitenti».
Tutto ciò non si improvvisa, ma occorre una preparazione e una ««regola di vita». Essa «educa il presbitero a essere con Cristo e a vivere per Cristo, secondo una gestione del tempo che consente di mettere ordine nella propria giornata, a partire dalla consapevolezza che la cura della vita interiore rimane la prima attività pastorale».
Oggi il ministero è esposto al rischio della frammentazione nelle diverse attività da svolgere, spesso nella fretta, con il rischio di dedicarsi alle attività più urgenti e così perdendo di vista la visione di insieme, e gli scopi che portano i sacerdoti ad agire. È importante allora mantenere un sano equilibrio tra preghiera e ministero, riposo e lavoro, altrimenti «si rischia di cadere facilmente nella sfiducia e nella lamentela, prigionieri di uno sfinimento cronico che impedisce al pastore la disponibilità all’ascolto della propria gente e lo priva di quella gioia contagiosa di cui, in forza del suo incontro con il Signore Gesù, dovrebbe essere l’autentico portatore».
Del resto, come indica lo stesso documento, «l’esperienza insegna come non sia il contatto con la gente a indebolire la vita spirituale, ma l’emarginazione della dimensione contemplativa».
III Teologia