Camminare di pari passo: stili diversi ma concordi
Siamo all’inizio ufficiale del nuovo anno accademico e formativo al Pontificio Collegio Leoniano di Anagni. Lo scorso 25 ottobre si è tenuta la cerimonia d’inizio, aperta dai saluti del rettore, don Leonardo D’Ascenzo, e del direttore dell’Istituto teologico Leoniano, il prof. Filippo Carcione; in seguito mons. Vincenzo Apicella, vescovo di Velletri-Segni, ha tenuto la sua prolusione; la cerimonia è culminata nella solenne concelebrazione eucaristica presieduta da mons. Giovanni Checchinato, vescovo di San Severo ed ex rettore del Seminario, e si è conclusa con la condivisione della cena.
La prolusione di mons. Apicella – che egli scherzosamente definisce «una chiacchierata», in quanto intesa come condivisione di alcuni spunti a partire dalla sua esperienza di pastore – è stata da lui intitolata “Lievito di fraternità. Suggerimenti per la formazione”: il titolo idealmente si ricollega al recente documento della CEI “Lievito di fraternità”, frutto del lavoro dei vescovi italiani dal 2014 al 2016, da cui mons. Apicella prende spunto per «suggerire» alcune possibili vie di attualizzazione dello stesso documento, che peraltro sarà oggetto di riflessione lungo tutto l’anno formativo.
Questi sono i suoi cinque suggerimenti per un buon cammino di formazione. Anzitutto, la vera formazione è prima autoformazione: l’efficacia delle proposte formative è legata alla capacità del formando di farsi protagonista della formazione stessa, di volerla, di decidersi per essa. La formazione esige l’attivo contributo, come soggetto della formazione stessa, del giovane in discernimento. In secondo luogo, occorre ricordare che la vocazione sacerdotale è una vocazione tra le vocazioni: essa non esaurisce la ricchezza del piano di Dio, pertanto, fuggendo da ogni «clerocentrismo», il prete deve aprirsi alla collaborazione con gli altri chiamati della comunità. Come terzo punto il vescovo ha richiamato alla serietà dei contenuti: il popolo ha bisogno di «cibo solido», nutriente; questo nutrimento non può che essere ricavato da un costante e instancabile «ritorno alla fonte», che è Gesù Cristo, la sua Parola di vita. Inoltre occorre assumere il dialogo come stile di vita; tale stile deve essere acquisito durante gli anni del seminario, scuola di relazione e di attenzione al prossimo. Infine, il vescovo ha rimarcato il carattere ecclesiale della vocazione presbiterale: il prete non è chiamato a titolo personale, ma all’interno di una comunità, che è la chiesa concreta in cui è inserito. L’ecclesialità è però minacciata dalla tentazione della concorrenza fra sacerdoti, che inquina i rapporti e dà scandalo alla comunità: al contrario l’unione, pur nelle differenze di stile, di opinione o di carattere, è la più forte e autentica testimonianza dell’essere discepoli del Cristo.
Gettando sui cinque punti esposti nella prolusione uno sguardo sintetico, possiamo notare che essi non stabiliscono in modo preciso uno standard di prete, ma tratteggiano delle vie per imparare ad essere prete: strade diverse, a volte nuove, a volte ritrovate, che vanno cercate e percorse per tutta la vita, che conducano alla piena realizzazione della vocazione presbiterale.