La chiamata dei primi discepoli (Mt 4, 18-22)
di Simone Cestra, seminarista del sesto anno
Di questo famoso brano del Vangelo mi piacerebbe sottolineare due aspetti.
Il primo è l’immediatezza della risposta dei pescatori alla chiamata di Gesù ad essere suoi discepoli (cfr. Mt 4,19.21), ben evidenziato dall’avverbio “subito”.
E, come loro, ancora oggi sono diverse le persone che, sentendosi chiamate a corrispondere al progetto che il Signore ha riservato per loro, con prontezza e senza alcun indugio decidono di porsi nella Sua sequela.
L’altro aspetto che mi piace mettere in rilievo e che è collegato a ciò che ho appena descritto è il fatto che i discepoli per seguire Gesù abbandonarono il proprio lavoro e anche i propri affetti (cfr. Mt 4, 20.22). Così facendo, veniva a mancare loro la sussistenza economica e anche il conforto, la protezione delle persone care.
Ma ben sapevano che la loro scelta ricadeva su Colui che dà senso alla loro vita e a quella di ogni uomo. E per questo lasciarono tutto con gioia, senza alcuna tristezza.
E lo stesso discorso vale per chi decide, come i discepoli, di mettersi in cammino nella strada che il Signore vuole per lui.
Ad esempio, io ho lasciato il mio lavoro e la mia famiglia per poter seguire la chiamata del Signore.
Facendo un paragone a dir poco azzardato, anche io, come Giacomo e Giovanni, ho lasciato mio padre da solo nella prosecuzione dell’attività familiare e ho deciso di entrare in seminario. Certo è stata una scelta difficile ma è stata compiuta nella gioia e nella fiducia che il Signore mi sarebbe stato vicino. E, dopo diversi anni, posso dire che, seguendo il Signore, seppur nella mia indegnità, ho trovato in Lui il senso della mia stessa esistenza.