V Domenica di Pasqua| B | 2/05/2021
Gv 15,1-8:
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 1«Io sono la vera vite e il Padre mio è l’agricoltore. 2Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunziato.
4Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. 5Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 8In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.
Domenica passata abbiamo meditato la figura di Gesù Buon Pastore, presa dal mondo della pastorizia.
Oggi la chiesa ci dà un’altra immagine simbolica: la vite e i tralci, cioè Gesù che è la vera vite e noi che siamo i tralci. In sostanza la realtà nascosta dietro al simbolo consiste nella comunione (v.5) o sulla possibilità di non –comunione (vv. 2. 4. 6.) tra i credenti e Cristo. La verifica per conoscere se c’è o non c’è la comune unione tra il tralcio, cioè il cristiano e la vite, che è Cristo, è rappresentato dai frutti, cioè dall’osservanza dei comandamenti (v. 10) e dall’amore fraterno (v.12) insegnamenti importanti questi, ma non riportati dalla lettura di oggi.
Gli studiosi di questo brano importante ci presentano la seguente struttura:
– C’è la vite e il vignaiolo che è il Padre (v.1-2)
– L’esortazione a rimanere in Gesù (meinate en emoi ripetuta più volte)
– Il simbolo della vite e dei tralci (v.5-6)
– Promessa che le preghiere saranno esaudite (v.7)
– Nello stesso tempo in cui si porta frutto e si diventa suoi discepoli, il Padre viene glorificato (v.8)
Gesù inizia la sua identificazione con la vite usando un termine che ha un valore figurato molto importante. Non dice: io sono come un… ma io sono (ego eimi) cioè io mi identifico con. Vediamo quali e quante siano queste espressioni:
– Io sono il pane della vita (6, 35.48) o il pane vivo (6,51) o il pane disceso dal cielo (6,41);
– Io sono la luce del mondo (8,12);
– Io sono la porta delle pecore (10,7-9);
– Io sono il Buon Pastore (10,11-14);
– Io sono la risurrezione e la vita (11,25);
– Io sono la via e la verità e la vita (14,6);
– Io sono la vera vite (15,1-5);
Tra i tanti manca il simbolo della realtà dell’acqua anche se alcuni passi la suggeriscono (4,14; 5,35; 7,38).
Tutti essi sono in relazione con la vita (zoè) che Gesù è e dà ai credenti.
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A volte questi “ego eimi” ha un significato di identificazione {Es. quando cammina sulle acque (6,20) e quando viene catturato (18,5-6), ma un altro significato si ha quando egli afferma la sua preesistenza (prima che Abramo fosse io sono [non io ero] 8,58)}
Da rifletterne anche un significato particolare quando risponde alla samaritana: “sono io che ti parlo” (4,26). È inevitabile che l’identificazione di Gesù con il Padre, appare agli orecchi e al cuore dei giudei come una pretesa blasfema (8,58 seg.). Solo se si sottintende che lui e il Padre sono una cosa sola “en”, allora si capisce anche che Lui è l’unico pane che discende dal cielo, l’unico che dà la vita al mondo (6,33-35), che è la luce del mondo (8,12), la porta attraverso la quale si entra nella vita (10,9).
In Giovanni dunque la formula “ego eimi” è Cristologica ed esprime la possibilità della salvezza operata da Gesù stesso. Questo aspetto principale alla luce del discorso della vite e dei tralci, aggiunge anche una dimensione ecclesiale cioè ha una funzione di difesa della comunità cristiana data anche dalla autorevolezza di Gesù senza il quale nessun cristiano può fare alcuna cosa (v.7).
Nell’antica Alleanza il simbolo della vite viene riferito soprattutto al popolo di Israele, vite divelta dall’Egitto (Salmo 80,8), rigogliosa una volta per indicare fruttuosità del popolo presso Dio (Os. 10,1).
Ma anche all’interno della famiglia, la brava sposa è identificata come una vite feconda (Salmo 128,3) e una mamma è come una vite feconda (72.19,10).
Il noto canto della vigna in Isaia 5 si accompagna ad altri testi che trattano proprio della vite come simbolo del popolo Israele.
E poi si prega il Signore di prendersi cura di questa vite (e dell’orto) che la sua destra ha piantato (Salmo 15). Perfino in Didachè (di cui, come si sa è incerta la data, ma la si mette quasi come coeva del vangelo di Giovanni), si dice: “ti ringraziamo Padre nostro, per la Santa vite di Davide tuo servo, che tu ci hai manifestato per mezzo di Gesù, tuo servo”). Il testo è rilevante perché può servire per dire che la vite di cui parla Gesù potrebbe avere anche un aspetto Eucaristico, come sono i riferimenti in Giovanni 6 relativi al pane.
Ora vediamo più da vicino l’importanza e l’insegnamento di questi discorsi figurati. Gesù è la vera (aletinòs) vite, cioè la vite che merita tale definizione. E il Padre è il vignaiolo. Ma l’opera del Padre viene compiuta nella persona di Gesù. Il vignaiolo per avere frutti compie due opere: recide d’inverno i rami secchi e pota in primavera i tralci fruttiferi perché portino più frutto. Tutta l’operazione come si può notare, è in funzione del portare frutto.
Tra la vite (Gesù) e i tralci (Discepoli) viene trasmesso una linfa divina che è la medesima all’uno e agli altri perché si rimanga (menein en) attaccati. Quelli che sono diventati rami secchi proprio perché ormai non ricevono più la linfa dal tronco, vengono tagliati e bruciati: ai fini di «portare frutto» non servono a niente, sono inutili. La realtà è questa: come il tralcio è attaccato alla vite del tronco a cui è aderisce come un tutt’uno, così i credenti con Cristo. L’esclusione da Cristo poteva avvenire con l’eresia, allora e con il peccato sempre.
Tanto in quanto i discepoli di Gesù “rimangono in Cristo” questi sono già purificati e non hanno bisogno di diventare “mondi” appunto perché già lo sono.
I discepoli sono diventati puri mediante le parole di Gesù che essi hanno accolto con fede. Tutto questo possiamo affermare perché in Giovanni la Parola ha la forza della purificazione.
Il “rimanete in me” è fondamentale in questo discorso; diversamente non si arriva allo scopo di portare frutti: un tralcio non può portare frutti se non è intensamente legato al tronco, è questo che lo alimenta e gli dà vita.
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I Discepoli (tralci) con le sole loro forze non porteranno mai frutti: accadrà questo, cioè porteranno frutti solo se rimarranno uniti a Cristo. Essere in Cristo cioè “voi in me ed io in voi”, fa del tronco e dei tralci un’unità inscindile. Il frutto che nasce è il risultato di questa unità. Questo concetto e la stessa espressione esprimono la relazione di Cristo con i discepoli come veniva espressa nel discorso del pane (Gv 6,56: “chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimorerà in me e io in lui”).
Quindi questo nostro discorso a modo suo ha una valenza eucaristica e un significato di condivisione di vita tra Gesù e i suoi fedeli.
Vorrei quindi dire che da una ragione teologica (Gesù e noi siamo una cosa sola) nasce anche un impegno comportamentale simile. Un tronco che lega a sè un tralcio della medesima natura non può portare frutti di una specie diversa: un albicocco non può portare altri frutti che le albicocche. I Cristiani legati a Cristo non possono portare altri frutti se non “cristiani”: è nella natura delle cose.
Un cristiano che non rimane in Cristo è destinato ad essere gettato fuori come inutile, si dissecca. Come avviene questa separazione con Cristo? Da non osservare i suoi comandamenti: dalla apostasia, dal peccato per la morte (Gv 5,16) coloro che si staccano da Cristo, si staccano anche dalla comunità perché i tralci, che dipendono dalla stessa linfa del tronco che si nutre con le radici nella stessa terra, sono tutti insieme connessi e vivono tutti le stesse vicende.
Possiamo in modo sintetico, presentare i pensieri più importanti della meditazione adeguata:
– Gesù è la vera vite, il Padre è il vignaiolo: ogni tralcio che non porta frutto lo recide e lo brucia; Ogni tralcio che porta frutto lo pota perché porti più frutto. C’è da riflettere molto sulle potature della vita: ognuno ha le sue, necessarie, indispensabili per la crescita. Chi soffre di più, cresce di più, ama di più. Chi non viene potato, porta molto fogliame, tralci lunghi e appariscenti, ma ai fini dei frutti non c’è alcuna utilità.
– Chi rimane unito in Gesù, porta frutto altrimenti è un tralcio morto perché è lui la linfa vitale e senza di lui non si può fa nulla. Le sue parole sono espressioni del suo vigore del suo amore. Se le sue parole dimorano in noi, noi dimoriamo in lui.
– Quando ascoltiamo le sue parole, il Padre è glorificato.
Riflessione di Don Franco Proietto