Solennità di Tutti i Santi – Anno C
Dal Vangelo secondo Matteo (5, 1-12)
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
Ancora una volta la Chiesa ci pone come riferimenti essenziali le beatitudini, perché sono l’espressione perfetta della santità. Gandhi diceva che se un fondatore di una religione come Cristo riesce ad innalzare l’umanità a queste vette (lui chiamava il suo messaggio di pace verità non violenza, realtà antiche come le montagne), la stessa umanità ha in sé risorse e capacità pressoché infinite (ricordiamo che, nonostante la sua devozione per la persona di Gesù, di cui meditava le parole e i fatti, Gandhi non poteva ammettere la sua divinità). L’uomo oltrepassa le sue capacità nascoste e le mette in pratica. Le vette che si raggiungono superano i limiti e ci rendono forti e robusti.
Le beatitudini sono per l’uomo la via alla felicità. Per questo diceva lo scrittore Peguy: “non c’è nella vita altra tristezza, se non quella di non essere santi”. In un certo senso Gesù dice che i poveri, gli oppressi, coloro che si impegnano a portare la pace, ad amare la giustizia – così come sono, cioè in quanto tali, non in quanti poi otterranno i beni di cui sono privi – vivono nella gioia.
La garanzia di questa verità non è data da una speculazione filosofica o da una consolazione umana, ma dallo stesso Gesù che, in modo esistenziale, ciò che dice lo ha vissuto. Cioè una condizione futura di ciò che le beatitudini promettono, sono realtà presente nella persona di Gesù. Lui è l’uomo nuovo che è stato sbeffeggiato, deriso, denudato, umiliato, messo a morte, senza più diritti civili né religiosi, eppure è il primo che tramite tutto questo, vivendo per gli altri, ha trovato nel dono di sé, la via della pienezza di umanità.
Questa umanità ha un suo elemento essenziale nella tensione verso la felicità.
Ma noi cristiani oggi mostriamo questa tensione, la viviamo? Non siamo tutt’oggi sotto accusa e ancora rimproverabili come una volta fece Nietzsche, perché uomini non felici? (non in quanto caratterialmente propensi al pessimismo ma in quanto cristianamente non facciamo vedere la differenza di vita grazie a Gesù vivo in noi). Questo filosofo ci dice: “Essi, i cristiani, dovrebbero cantarmi canti migliori perché io impari a credere al loro redentore: più gioiosi dovrebbero sembrare, i suoi discepoli”.
Ciò di cui parla Gesù – disvalori nella società dell’arrivismo – dovrebbero costituire per noi situazioni che producano beatitudini: esse sono: povertà di spirito, lacrime, mitezza, fame e sete di giustizia, purezza di cuore (per poter vedere Dio), tensione verso la pace, la stessa persecuzione subita per pacificare la società. Masochismo? Paradosso? No: imitazione di Gesù.
Le beatitudini, che nel mondo sono scandalo, ci aprono al futuro, sono tensione verso il Regno dei cieli, dove si compirà il lungo cammino di avvicinamento a Dio. Esse sono un linguaggio cristallino della croce, espressione della sconfitta di Gesù, penultimo atto della sua vita, prima della Risurrezione. Ma sono attuabili oggi? Non sono, nel loro paradosso, irraggiungibili, anzi anche motivo di comportamenti ipocriti? Chi è che vorrebbe essere povero, piangere, ecc.. Solo chi vede in Gesù e nella sua croce, motivi di significato e di interpretazione della vita. Solo chi pensa e vive che in Gesù c’è felicità, in Gesù patiens come in Gesù triumphans. È certo che umanizzano e irrobustiscono di più la nostra esistenza. E chi non le vive, non comprende ancora che uno strumento efficace per raggiungere il regno dei cieli è stato accantonato per paura, negligenza o incomprensione.
Ma le privazioni in genere possono rendere le persone più umane? Parallelamente vorrei fare questo interrogativo: la mancanza di ricchezza, può rendere l’uomo più uomo? Si, tanto in quanto danno più essere, anche se tolgono più avere.
Esempi
povertà: ricchezza
cibo: digiuno
affetto, sessualità: castità